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Theodoros Terzopoulos, Amor che tutto move

Theodoros Terzopoulos torna a VIE Festival con la prima nazionale di Amor al Teatro delle Passioni di Modena. Recensione

Foto di Johanna Weber
Foto di Johanna Weber

«Durante gli ultimi anni lo stato ha smesso di finanziare il teatro, una condizione che tradisce una precisa scelta politica secondo la quale l’arte e la cultura sono poco importanti e quindi sacrificabili. Credo che proprio in questo preciso momento storico abbiamo un grande bisogno del teatro e di tutta l’arte in generale. Di recente sono nate molte giovani compagnie teatrali – ognuna con la sua particolare visione estetica e artistica – che hanno tentato di esprimere con mezzi differenti la stessa logorante agonia, frutto di una crisi che non è più soltanto economica ma anche umana». La dichiarazione è tratta da una breve ma esaustiva intervista di Marzio Badali, redattore di Altre Velocità, che ha incontrato il regista Theodoros Terzopoulos in occasione della presentazione a VIE Festival in prima nazionale di Amor, secondo lavoro della trilogia che consta di Alarme (presentato sempre a VIE nel 2013) e che si chiuderà il prossimo mese ad Atene con la prima assoluta di Encore.

Foto di Johanna Weber
Foto di Johanna Weber

È l’ultima risposta e la più importante, dalla quale si può dedurre il perché strutturale di una scelta drammaturgica politicamente urgente: la crisi è il punto di vista non la tematica di questo spettacolo, il contenitore che racchiude un contenuto più ampio e, per certi versi, impossibile da circoscrivere. Amor è basato sul testo di Thanasis Alveras dispiegato nella scena nuda e algida del Teatro delle Passioni di Modena, quasi un buco nero stretto in larghezza e profondo alle spalle degli attori. In proscenio, vicinissimo alla prima fila di poltrone, un cono metallico e ramato scende dal soffitto lasciando visibile e illuminata da uno spot di luce abbacinante, lei, (Aglaia Pappa), ferma immobile e a metà busto, è il “prodotto da acquistare” il cui corpo è rinchiuso nell’altra parte inferiore del cono, poggiato a sua volta su un camminamento rettangolare a tagliare, occupandola obliquamente, la scena. Nella parte destra invece, lui, il battitore d’asta (Antonis Myriagkos) incravattato e vestito di tutto punto incede spinto dall’inerzia di un lunghissimo monologo che rigurgita formule e tiri a rilancio, intriso di imperativi della business economy, pregno di cifre, numeri, calcoli, percentuali. Una drammaturgia schizofrenica nettamente divisa in due emisferi cerebrali corrispondenti a due soluzioni registiche: a sinistra la figura femminile è costretta in un cono metallico che sembra schiacciarla, ciononostante la sua è e rimane una posa ieratica e sorridente, sprizzante vitalità, abbandonatasi poi a un flamenco sensuale e commovente. A destra, la solitudine in penombra dell’uomo, del compratore, piegato dal peso dal dogma finanziario, sudato, provato, scomposto in un tailleur sdrucito, i capelli grassi, la fatica che scompone e annichilisce. In questa distanza, dove si contrappongono formae mentis antitetiche, c’è l’Amor “che tutto move”, qui inteso come una tensione avvolgente i due corpi e pensieri, capace di colmare il vuoto e risanare quella dialettica monca ora incapace di tenere uniti insieme filosofia ed economia, vita e aspettativa di vita, welfare state e benessere reale.

Foto di Johanna Weber
Foto di Johanna Weber

Nella musicalità stigmatizzante della lingua greca (lo spettacolo è in lingua originale con sovratitoli in italiano e inglese) l’attenzione dello spettatore è tenuta in scacco dal magnetismo dei corpi contrapposti, dalla corsa incessante del testo; una visione strabica che guarda la stasi ma vede la vita (lei, il prodotto) e nel dinamismo rintraccia il graduale disfacimento (lui, il battitore d’asta).
Soltanto cinquantacinque minuti, meno di un’ora, sfruttati al millesimo per concentrare in un lavoro calibrato a orologeria, un pensiero trascendentale e accordante, a riempire le crepe di un sistema matematico bisognoso di passione. «Open the time» è stato il monito di Terzopoulos ai due impeccabili attori instillato durante il periodo di prove – come loro stessi ci raccontano in un incontro organizzato post spettacolo. Crisi economica e umana espressa nel teatro del fondatore della compagnia Attis, che è apertura nella costrizione, soffio vitale nelle pieghe di un testo calcolato e ricolmo di cifre e valori che soffocano, danza nervosa e calda di un corpo che agita l’iniziale immobilità; soluzioni drammaturgiche che dilatano la temporalità di una partitura per due corpi e pensieri agli antipodi ma anelanti l’incontro.

Lucia Medri

VIE Festival, Bologna – ottobre 2016

con Aglaia Pappa, Antonis Myriagkos
regia, installazione scenica, testo Theodoros Terzopoulos
musiche Panagiotis Velianitis
costumi LOUKIA
luci Theodoros Terzopoulos, Konstantinos Bethanis
esecuzione delle installazioni sceniche Charalampos Terzopoulos
direzione tecnica Konstantinos Bethanis
responsabile di produzione Maria Vogiatzi
foto Johanna Weber
produzione Attis Theatre
Prima nazionale
Spettacolo in greco con sovratitoli in italiano e inglese

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Lucia Medri
Lucia Medri
Giornalista pubblicista iscritta all'ODG della Regione Lazio, laureata al DAMS presso l’Università degli Studi di Roma Tre con una tesi magistrale in Antropologia Sociale. Dopo la formazione editoriale in contesti quali agenzie letterarie e case editrici (Einaudi) si specializza in web editing e social media management svolgendo come freelance attività di redazione, ghostwriting e consulenza presso agenzie di comunicazione, testate giornalistiche, e per realtà promotrici in ambito culturale (Fondazione Cinema per Roma). Nel 2018, vince il Premio Nico Garrone come "critica sensibile al teatro che muta".

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