A Natura Dèi Teatri, Lenz debutta a Parma con gli ultimi capitoli del progetto Il Furioso e con Macbeth. Al Tempio della Cremazione di Valera e a Lenz Teatro. Recensione
Guardando un performer in scena, avviene sempre qualcosa di misterioso. Uno sdoppiamento obbligato, operato non tanto – non più, forse, non in questo paese – sul piano della vicinanza/distanza tra realtà vissuta dal performer e realtà vissuta dal suo personaggio, ma sempre di più tra realtà vissuta dal performer e realtà vissuta dallo spettatore. L’onnipresenza della parola realtà è quasi sempre la chiave di ogni grado di rapporto messo in opera sulla scena. Sappiamo bene che nel corso del Novecento e in particolare negli ultimi quattro o cinque decenni, un certo tipo di ricerca ha abbandonato la rappresentazione in scala di una realtà altra per spostarsi sul suo processo di apparizione e sparizione, mettendo in crisi, ancor prima che il performer, lo spettatore stesso.
Il progetto artistico di Lenz Fondazione – al secolo Maria Federica Maestri e Francesco Pititto – mette a punto un’indagine variegata sui concetti di presenza, di sensibilità, di normalità e devianza. All’interno di una roccaforte parmense, la compagnia è sopravvissuta a circa trent’anni di ricambio di amministrazioni locali, organico artistico e collaboratori organizzativi, rimanendo in costante evoluzione, senza tuttavia abbandonare il centro del proprio discorso.
Questo il quadro emerso da una interessante due giorni di immersione che ci ha offerto la possibilità di vedere, in occasione del festival Natura Dèi Teatri, la conclusione del progetto Il Furioso (dall’opera di Ludovico Ariosto) e il debutto di Macbeth, uniti da una densa tavola rotonda aperta dai due direttori artistici al contributo di studiosi, critici e osservatori delle arti sceniche.
Come altri titoli del recente repertorio di Lenz, Il Furioso è pensato come un modulo installativo, una catena di eventi site-specific in cui il luogo gioca un ruolo fondamentale. Nel cimitero di Valera, alla periferia di Parma, in mezzo ai campi pianeggianti della Pianura Padana, sorge il Tempio della Cremazione, inaugurato nel 2009 e per la prima volta concesso come luogo di spettacolo. Ma già questa definizione è poco calzante. I tre capitoli del Furioso non sono propriamente spettacolo, piuttosto un percorso iniziatico che coinvolge sia i performer che gli spettatori. L’illusione, la Follia, la Morte, la Luna sono i titoli degli ultimi quattro frammenti, divisi in stazioni: la facciata, la Sala del Commiato, il passaggio attraverso lo spazio che ospita il vero e proprio forno crematorio e il giardino retrostante questa architettura, al contempo severa ed evocativa, asettica e inquietante. Un crematorio è per definizione un luogo laico di trasmigrazione delle anime, una bolla spazio-temporale ibrida, che appiattisce le distanze tra chi crede e chi non crede in un qualsiasi Aldilà. È suggestivo come del poema originario restino quasi solo labili tracce: da un lato una reminiscenza uditiva data dalle ambientazioni e dai nomi dei protagonisti (Orlando, Angelica, Medoro, Bradamante, Zerbino e Isabella), dall’altro una memoria fisica che il corpo stesso dello spettatore riscrive attraverso la struttura itinerante.
Seduti nel giardino di fronte alla facciata si osservano gli attori – minuscoli in confronto all’architettura – e le video proiezioni che giganteggiano sulle colonne evidenziando i dettagli di un disagio di cui in fondo non si parla mai davvero. Nella Sala del Commiato si tiene l’orazione di Zerbino alla sua defunta Isabella, che compare intabarrata in un velo funebre ma parla come fosse una nubenda, in ardenza per la cerimonia, per il viaggio di nozze, per la famiglia cui darà la vita. Ma, passati attraverso la sala del crematorio, quella stessa vita si è già fatta morte. Al Paradiso si sostituisce la Luna (il giardino sul retro), una sorta di vetrina neutra in cui si mostrano, seduti, i protagonisti già morti, che lo stesso Orlando, nella sua follia, si preoccuperà di riaccompagnare sulla Terra, per ricominciare a vivere.
La drammaturgia di Pititto si lascia ingoiare dalla sua “imagoturgia”, un tessuto visivo magniloquente eppure tremante, fatta di sequenze video mute ma significanti, quasi una sovra-trama che vigila sull’evoluzione di caratteri e stati d’animo – ancora una volta – non di attori e personaggi, ma degli spettatori.
Arduo accostare a questa visione quella del Macbeth, al debutto nello spazio residente di Via Pasubio, con una Sandra Soncini incaricata non solo del ruolo di Lady Macbeth ma, si direbbe, della voce di una coscienza distorta. Nello spazio vuoto, solo un alto modulo di pannelli che, insieme alle mura laterali, funge da schermo per le onnipresenti videoproiezioni, dove Macbeth è intrappolato, come vagando in un inconscio post-urbano. Prima chiusa a cuspide, poi spalancata, la struttura scenica è insieme castello e foresta, campo di battaglia, segreta e stanza da letto, dove uccidere e farsi uccidere.
Di certo la neutralità dello spazio teatrale convenzionale rende la visione meno folgorante, così come si avverte la mancanza di un tono ironico, di una leggerezza pura che pure caratterizzava gli ultimi episodi del Furioso contribuendo a quel vincente processo di distacco tra i vari elementi della messinscena, qui invece raccolti nello spazio claustrofobico di un monologo tetro e inquietante.
Il testo e la sua organizzazione spaziale, visiva e sonora si smarcano da quasi ogni tentativo di organizzazione ritmica riconoscibile e non sembrano seguire altra logica che quella del tormento; la duplicazione forsennata delle immagini mette Soncini (generosa e rigorosa) alla prova continua di un’attenzione che in più punti tende a perdersi.
Conservando una certa diffidenza nei confronti della definizione di «attore sensibile» (alternativa firmata Lenz a epiteti come diversamente abile, portatore di handicap o disagio), si vorrebbe invece far avanzare l’idea che quel tipo di sensibilità particolare sia richiesta, ancor più che agli attori, agli spettatori. Va riconosciuto al lavoro di questa compagnia un impegno oceanico nel mettere in crisi lo sguardo dello spettatore senza rinunciare a un’organizzazione scenica consapevole dell’impatto estetico. Il lavoro drammaturgico-registico di scarnificazione dei testi e degli immaginari correlati riesce a circondare l’azione dei performer e, creando un doppio distorto della realtà, permettendo alla posizione critica del pubblico di non cristallizzarsi sulla misura della devianza (presentata o rappresentata che sia) ma di problematizzare il suo concetto complementare: la normalità.
Sergio Lo Gatto
Tempio di Valera; Lenz Fondazione, Parma – giugno 2016
IL FURIOSO (2) #5 L’Illusione #6 La Follia #7 La Morte #8 La Luna
dall’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto
Creazione Maria Federica Maestri | Francesco Pititto
Drammaturgia | imagoturgia | scene filmiche Francesco Pititto
Installazione | elementi plastici | regia Maria Federica Maestri
Musica Andrea Azzali
Performer Walter Bastiani, Franck Berzieri, Marco Cavellini, Massimiliano Cavezzi, Carlo Destro, Paolo Maccini, Delfina Rivieri, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera
Direzione tecnica Alice Scartapacchio
Équipe tecnica Lucia Manghi | Stefano Glielmi | Yannick De Sousa Mendes | Marco Cavellini
Assistente alla Regia Roberto Riseri
Cura Elena Sorbi
Organizzazione Ilaria Stocchi
Comunicazione Valeria Borelli
Ufficio stampa Michele Pascarella
Produzione Lenz Fondazione
Progetto realizzato con il sostegno di DAISM-DP Dipartimento Assistenziale Integrato di Salute Mentale Dipendenze Patologiche AUSL di Parma
In collaborazione con So.Crem Società per la Cremazione | Ser-Cim Servizi Cimiteriali
MACBETH
da William Shakespeare
Testo e imagoturgia Francesco Pititto
Installazione, elementi plastici e regia Maria Federica Maestri
Musica Andrea Azzali
Consulenza scientifica Rocco Caccavari
Performer Sandra Soncini
Performer in video Ospiti REMS di Mezzani
Cura Elena Sorbi
Produzione Lenz Fondazione
in collaborazione con AUSL_DAISM-DP_REMS Dipartimento Assistenziale integrato di Salute Mentale Dipendenze Patologiche AUSL di Parma REMS – Residenze per l’Esecuzione della Misura di Sicurezza Sanitaria