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Orfeo Rave. Oltre i limiti del mito

Orfeo Rave. Michela Lucenti ed Emanuele Conte portano una visione tratta da Orfeo e Euridice dentro la Fiera di Genova. Spettacolo unico di grande impatto visivo ed espressivo. Recensione

foto Meri Cannaviello
foto Meri Cannaviello

E come un mantra, come colpiti dall’elettricità di una torpedine, il ritmo si prende il corpo e lo conduce, inesorabile, in un battito d’ali rappreso, febbrile, attraverso cui nessun volo può essere redento, nessun petalo di fiore sarà alla fine carezza d’approdo, riparo alla violenza dell’aria. Il mito non ammette intromissioni, le scalcia via come un cavallo renitente, sa bene che la sua immutabilità è archetipo, dispone per gli uomini di oggi il tempo di allora in uno spazio di ora e lo allarga in una visione aperta, priva del confine della forma.
Orfeo Rave, prodotto dal Teatro della Tosse e portato alla Fiera di Genova da Emanuele Conte e Michela Lucenti di Balletto Civile, raccoglie la sfida del mito, dunque, lo conserva proprio là dove avrebbe ispirazione di frantumarlo, di darne una versione sovrastante; riesce nell’impresa per aver saputo scantonare il giudizio sul mito stesso, ospitandolo in una struttura aperta e spesso rialzata, un grande spazio rettangolare di undicimila metri quadrati usato sia in lunghezza che in altezza, e tenendo l’opera ugualmente libera dai limiti in cui avrebbe sperimentato imposizioni che il tempo, o meglio la cristallizzazione del mito in “mitosofia”, poteva suggerire.

foto Meri Cannaviello

La danza, i corpi in movimento negli abiti consunti e luridi, sviluppano dinamismo in una stasi da scardinare, passano come un’onda di disgusto i danzatori tra i corpi immobili degli spettatori, che presto si accorgeranno di doverli seguire, essere parte di questo volo attraverso l’aria e la storia di Orfeo e Euridice, farsi paesaggio naturale e quindi vivificante, penetrato nell’immagine a renderla concreta. È quel corpo collettivo che inizia, mutante, a mescolare gesti e promesse, attese e vuoti di quel ritmo ora sinistro ora tenue, tribalità docile, assottigliata in una componente quasi sorda, allontanata via via che il movimento e la parola sanno trovare minuscoli pertugi di dialogo.

C’è un presagio nella scena dipinta sui corpi e a loro intorno, nell’estetica zingaresca e ultramondana che accoglie nell’opera gli stimoli infernali di Hieronymus Bosch, un indizio di irreversibilità prima ancora che la vicenda si manifesti; Michela Lucenti si erge e pronuncia parole chiare al di sopra della danza magmatica in cui tutti sono immersi, dirà di un viaggio di morte, nella morte, forse per opera, della morte, giacché tutto dispone: «È la vita a essere in prestito», declama mentre le mani, le braccia, le si appressano, la morte «madre di tutte le cose» non è che un presentimento, eppure il solo annunciarla fa apparire quelle pareti trasparenti di una morbidezza plastica come un velo vorticoso e insieme fragile, profondamente caduco.

foto Meri Cannaviello
foto Meri Cannaviello

Itinerante. Il passo di chi assiste non distingue più sé stesso dalle parti dell’opera, perché essa si fa totale, rito collettivo e spirituale che sperimenta il volto e la maschera come atto e intenzione, in continuo ribaltamento, così l’Apollo tutto d’oro, in un’aria pregna d’incenso, innesca tra le celle quadrate di una geometria lineare i balli che parrebbero di Dioniso, i suoi movimenti invece cadenzati come depotenziati, o ricollocati in altra forma; allo stesso modo Ade è un vecchio addormentato sul divano di fronte alla TV che parla per bocca di sua moglie e nulla sembra aver mai deciso: Orfeo ha scelto, Orfeo ha compiuto due volte il suo destino. Desolato, sbaglierebbe in egual maniera per l’eternità.

Rave. Se talvolta la ricercatezza estetica, il ritmo incalzante, prevalgono sulla conformità al mito di certe scelte, sulla nitidezza di alcune immagini, ciò è calcolato nel rischio di comporre qualcosa di simile a un happening a tema, in cui la progressione del battito e la natura empatica di certe apparizioni sono vari modi di appressarsi alle tenebre, all’oscurità in cui tenue si affaccia una sola luce. Da quel pertugio, Orfeo sconterà l’impossibile di Euridice. Un elettrotango in una sala d’ospedale, dolce ed estremo, apre all’abbandono senza più via di ritorno, Ermes è inflessibile, un rap strozzato sembra l’unico tratto umano e la musica si carica di metalli pesanti, demoniaci passi a due strappati, dolorosi, si rincorrono tra sete e appagamento di un amore difforme, amore della vita, per la morte.
Senza che vi sia nessuno a chiamarci.
Nessuno per cui voltarsi e guardare indietro.

Simone Nebbia

Fiera di Genova – maggio 2016

Clicca sulle immagini per sfogliare la gallery. Foto di Meri Cannaviello

 

ORFEO RAVE
uno spettacolo di Emanuele Conte e Michela Lucenti
testi di Elisa D’Andrea ed Emanuele Conte
regia Emanuele Conte e Michela Lucenti
impianto scenico Emanuele Conte
coreografie Michela Lucenti
costumi Daniela De Blasio e Bruno Cereseto
luci Cristian Zucaro
musiche originali ed elaborazioni musicali Tiziano Scali e Federico Fantuz
n’goni Demian Troiano
video Luca Riccio
assistente alla regia Alessio Aronne
collaborazione drammaturgica e scenografo assistente Luigi Ferrando
con Michela Lucenti Maurizio Camilli Enrico Campanati Pietro Fabbri Susanna Gozzetti Maurizio Lucenti Demian Troiano
e con Fabio Bergaglio, Ambra Chiarello, Giovanni Leonarduzzi, Alessandro Pallecchi, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Natalia Vallebona
Jaskaran Anand, Alberto Galetti, Giuseppe Claudio Insalaco, Antonio Marino, Marianna Moccia, Arabella Scalisi
direttore scena Roberto D’Aversa
macchinisti Carlo Garrone, Fabrizio Camba, Kyriacos Christou
elettricisti Matteo Selis, Davide Bellavia, Giovanni Coppola
fonico Tiziano Scali
laboratorio scenografico Paola Ratto
attrezzista Renza Tarantino
sarta Umberta Burroni
Produzione Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse e Balletto Civile

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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