Silvio Peroni mette in scena Costellazioni, scritto dal drammaturgo inglese Nick Payne. Recensione
Il pubblico teatrale romano è uno strano animale dalle diverse personalità: talvolta pigro e riluttante, a volte curioso ed entusiasta. Proprio qualche giorno fa osservavamo, con sbalordita meraviglia, una manciata di spettatori che tentava di riempire la grande sala di uno storico teatro ospitante una altrettanto storica compagnia. A pochi giorni di distanza invece, testimoniamo una risposta positiva: la platea del Teatro Brancaccino è strapiena, come lo è stata e lo sarà durante le tre serate di repliche di Costellazioni diretto da Silvio Peroni e scritto dal drammaturgo inglese Nick Payne. Spettacolo già passato per la capitale circa due anni fa con un diverso cast di attori, Alessandro Tiberi e Margot Sikabonyi i cui ruoli in quest’occasione sono interpretati da Jacopo Venturiero e Aurora Peres.
La regia di Peroni sembrerebbe andare a colpo sicuro, azzeccando il cavallo vincente della drammaturgia anglosassone e segnando un altro successo di pubblico, già riscontrato con Cock andato in scena giusto qualche mese fa.
L’ordinarietà è protagonista indiscussa di questi testi, quello sfondo riconosciuto in cui si delineano storie comuni di uomini e donne altrettanto comuni. Tutto sta nello specchiarsi, avvicinarsi a questo teatro che ci permette di guardare la nostra immagine dall’esterno, osservandone forza e fragilità con quell’ironia che non avremmo se non ci venisse mostrata. Il caos è il motore che muove Orlando e Marianna in un rapporto di coppia esplorato basandosi sulla teoria fisico-quantistica degli universi paralleli: tutto accade ma potrebbe anche accadere diversamente.
Rispettando questa potenzialità il testo è letteralmente montato per giustapposizione, ogni scena vissuta dai protagonisti viene interpretata in molteplici modi, cambiandone tono e interpretazione, dimostrando le innumerevoli sfumature che potrebbe assumere un evento. Nulla è certo, ogni cosa diventa possibile. Il tempo della pièce è cinematograficamente rallentato attraverso digressioni, flashback e flashforward che ne infrangono la linearità e consequenzialità. L’incontro tra l’apicoltore Orlando e Marianna, ricercatrice universitaria nel campo della cosmologia quantistica, la loro prima volta, le litigate, la sorpresa del matrimonio e poi la malattia e la morte si alternano in un centinaio di scene.
Se sullo schermo un simile impianto narrativo manterrebbe alta la soglia di attenzione grazie al senso datogli dal montaggio, in teatro le battute del testo di Payne ricorrono in scene ripetute da vari punti di vista: questo gioco drammaturgico rischia di diventare prevedibile e, una volta assimilato, di annoiare lo spettatore. Inoltre per coloro i quali hanno visto entrambi gli spettacoli di Peroni passati per Roma e uno di seguito all’altro, quasi sembrerebbe di rintracciare lo stesso modello registico e drammaturgico applicato però a un diverso testo; scelta autoriale che non ne fa tuttavia una scelta stilistica e poetica ma un meccanismo sistematico. Venturiero non delude per quella composta serietà di uomo che acuisce però debolezze e impulsività, insieme a Peres che dà rotondità e pienezza a un personaggio forte e determinato, il quale tuttavia non dimentica di essere dolce e vulnerabile nelle sguardo e nelle parole, proprio in quelle che a causa del male, iniziano a sfuggirle al controllo. Una coppia che diventa, sin dai primi quadri, un unico personaggio di duplice volto e personalità: la parte superiore della scena è occupata da un soffitto di lampadine accese a intermittenza, mentre nella parte bassa da un piattaforma rialzata sulla quale si muovono gli attori, il cui disegno ricorda le celle di un alveare.
La commedia anglosassone sbanca al botteghino sia cinematografico che teatrale, non troviamo infatti grandi differenze rispetto alle storie impersonate sullo schermo da attori come Rupert Everett, Hugh Grant, Renée Zellweger o la celebre Julia Roberts. Personaggi in grado di rappresentarci così empaticamente che il pubblico non potrà fare a meno di applaudire, verso se stesso. Verosimiglianza e riconoscimento, prevedibile e ordinario, e proprio per questo, ora più che mai, vincente.
Lucia Medri
Teatro Brancaccino, Roma – Marzo 2016
COSTELLAZIONI
di NICK PAYNE
con Jacopo Venturiero e AURORA PERES
regia SILVIO PERONI
scene e costumi MARTA CRISOLINI MALATESTA
disegno luci VALERIO TIBERI
produzione KHORA.teatro