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La cieca ricerca dello spettatore perduto. E le avanguardie?

Dal Fus ai Festival, da Roberto Latini a Strindberg: una riflessione a cavallo tra la creazione e lo spettatore

 

METAMORFOSI (DI FORME MUTATE IN CORPI NUOVI) Fortebraccio Teatro - foto Flashati
METAMORFOSI
(DI FORME MUTATE IN CORPI NUOVI)
Fortebraccio Teatro – foto Flashati

La tanto discussa riforma dei criteri di assegnazione del Fus ha creato numerosi paradossi e prestato il fianco a altrettante critiche: molte di queste più che ragionevoli, altre meno obiettive e altre ancora che non nascondevano il livore degli esclusi, la malcelata difesa delle famose rendite di posizione. Se nei settori riguardanti teatri e imprese di produzione la riforma non ha migliorato l’approccio mantenendo numeri altissimi e molte volte inapplicabili per il comparto del teatro d’arte (a meno che non si faccia di tutto per raggiungerli come ha ben spiegato qui Marcantonio Lucidi), rendendo sempre più difficoltosa la distribuzione delle opere, quello dei festival è invece il settore in cui il modello del Ministero sembra essersi comportato meglio. Sono state premiate quelle manifestazioni spesso multidisciplinari, le quali, al di là dei risultati specifici e delle diverse linee artistiche, negli ultimi anni hanno rappresentato la spina dorsale del teatro italiano producendo compagnie giovani e meno giovani, dando la possibilità ad artisti spesso trascurati dagli stabili e dai circuiti istituzionali di sperimentare o farsi conoscere. La Commissione prosa in questo caso ha avuto modo di premiare quegli organismi che ormai da diverso tempo lavorano su questa strada.
Di festival ve ne sono in tutte le regioni, da quelli sostenuti dalla buona volontà di artisti e operatori a quelli accompagnati da privati e istituzioni; tutti però devono confrontarsi con quel crinale scivolosissimo che separa il pubblico dalla ricerca artistica. Ed è questo il tema centrale degli ultimi anni, sembra un grande campo di battaglia e nella trincea ci finiamo tutti, artisti, critici e operatori, tutti intenti a cercare la formula magica per ridurre il divario, la mossa fatale per agganciare il pubblico e poter così scattare orgogliosamente la foto delle code e dei sold out con tanto di didascalia “qualità e pubblico finalmente riuniti sotto lo stesso tetto”. Ma cosa intendiamo poi con qualità? E ancor di più cosa intendiamo quando parliamo di “pubblico vero”? Poi davvero nell’epoca delle nicchie culturali iperspecializzate ha ancora senso puntare al pubblico che in teatro non ci è mai entrato? O forse è meglio educare chi in quella passione per qualche motivo è incappato e lentamente allargare la base per contagio?

incontro artisti visionari, Kilowatt 2015
incontro artisti visionari, Kilowatt 2015

Il rischio è quello di aver paura dell’avanguardia perché inconciliabile con il grande pubblico. È vero, quello di cui lo spettatore ha bisogno è una forma di “teatro popolare d’arte”; quante volte ce lo siamo ripetuti? Ma è anche prioritario che il teatro ribadisca il proprio diritto a coltivare una frangia avanzatissima. Saranno poi i critici e gli storici del futuro a inquadrarla nel valore reale. Sono invece i critici del presente a doverla raccontare, accompagnare, tentando di svelarne le contraddizioni o esaltandone la coerenza. E ce ne faremo una ragione se il pubblico medio non capirà, staremo calmi e tranquilli se il critico (giovane o attempato che sia) vorrà ancora una volta mettersi la maschera da reazionario populista – ché oggi va molto di moda – e cantare ai quattro venti il solito ritornello di frasi fatte “si è già detto tutto, si è già visto tutto. Che linguaggi vuoi innovare? Bisogna tornare alle storie”.
Non a caso nell’ultimo incontro di Rete Critica, a Kilowatt Festival, Lorenzo Donati (Altre Velocità) ha parlato della necessità di “portare la formazione del pubblico dentro l’universo critico”.

Che si lasci all’artista il tempo e lo spazio di sperimentare e se necessario di sbagliare senza sovrapporre al passo falso un valore talmente assoluto da non tener conto delle condizioni lavorative e del coefficiente di rischio rapportato con il percorso artistico. Dai commenti che talvolta si sentono o si leggono si ha l’impressione che ogni tanto ci si dimentichi non solo del valore di un passo falso, ma anche di quanto sia importante relativizzarlo.

Viviamo d’altronde in un’epoca che soffoca i dubbi, nella quale non si può cambiare idea perché questa troverebbe subito una fila di baionette benpensati pronte a infilzarla.

Orizzonti Festival è una manifestazione giovane (dal 2012 è prodotto dalla Fondazione Orizzonti d’Arte e punta a percorsi artistici di caratura nazionale) che ha dovuto vedersela con un pubblico cittadino, quello di Chiusi, poco motivato per la parte teatrale del programma (sold-out invece gli appuntamenti musicali e operistici). Qui è passato anche Roberto Latini con l’ultima ricerca di Fortebraccio Teatro dedicata alle Metamorfosi di Ovidio. Nelle sue mutazioni (dopo San Gimignano e Castiglioncello), dai luoghi aperti al chiuso del Teatro Mascagni per Orizzonti, questo lavoro rintraccia proprio una reale necessità di libertà. Ha ragione Massimiliano Civica quando in un suo recente scritto, apparso su Doppiozero, a proposito della riforma sui finanziamenti allo spettacolo dal vivo parla del rischio di un teatro che operi per “consenso preventivo”. Ma ci sono ancora artisti capaci di mescolare le carte in tavola, a costo di mettere in discussione il proprio percorso. Latini è uno di questi e qui ha aperto la propria barca a compagni che possono condividere questa sensibilità. Così sul gommone dei suoi Argonauti si stringono anche nomi eccellenti di un certo teatro romano indipendente, come Alessandra Cristiani e Ilaria Drago, oltre a Savino Paparella e Sebastian Barbalan. Hanno deciso di intraprendere un percorso insieme, di cercare una serie di spunti e di domande, l’obiettivo non è il “montaggio” di uno spettacolo, la confezione di una pièce pronta per essere consumata (magari anche con quel consenso preventivo di cui parla Civica). Per Latini sarebbe facile, a lui non manca di certo la maestria e sull’onda del successo dei Giganti sarebbe stato semplice continuare sulla strada che più gli si addice, quella del soliloquio. Invece ciò che viene aperto allo sguardo del pubblico è appunto un percorso. Non sappiamo se e come la scintilla accesa a partire da Ovidio prenderà una forma definitiva, ma sulla propria avanzata sta lasciando una serie di incontri destabilizzanti, di flash immaginifici: il teatrino sul mare a Inequilibrio, un piccolo circo di clown muti e dolenti, e nel silenzio di una drammaturgia in cui la parola è usata col contagocce quella frustata che manda in cortocircuito la logica e l’emozione cercando di dar forma verbale alla naturale empatia che in quanto esseri umani abbiamo nei confronti dell’altro. Perché ho paura anche se non ti conosco? Perché ho paura che tu muoia? si chiede Latini.
Eppure in molti quella sera a Chiusi cercavano lo spettacolo pronto e confezionato rimanendo con un pugno di mosche. Sottolineavano con la penna rossa proprio l’inconsistenza dei materiali visti, il livello grezzo con cui questi si mostravano al pubblico.
Certo poi al festival ospitante si può suggerire di accompagnare la presentazione al pubblico con una serie di incontri preparatori o di discussioni successive (come d’altronde ha suggerito in questo articolo Giulio Sonno nel caso di Orizzonti), si può aprire un dibattito critico come è accaduto nel nostro laboratorio proprio a Chiusi, nel quale ogni giorno con sei giovani osservatori cercavamo di innestare una riflessione che si propagasse per le vie della Città veicolata da un giornale quotidiano, ma qualunque sia il nostro pensiero sul pubblico e sui modelli utilizzati per la sua formazione l’artista deve essere lasciato libero di agire in uno spazio di manovra indefinito, in quel territorio di sperimentazione che mai deve essere svenduto per una manciata di spettatori in più.

Postilla  sulla marginalità. Da August Strindberg Sopravvalutazione del lavoro culturale in Se la classe inferiore sapesse, traduzione italiana Renato Zatti
EDIZIONI DELL’ASINO, ROMA , 2012 – fonte I quaderni del Teatro di Roma, Aprile 2012

[…]Adesso credi di aver sollevato una pietra dalle fondamenta su cui poggia la casa che vuoi demolire! Domani i giornali si batteranno e dopodomani “tutta” la Svezia saprà… cosa? Sì, che una pièce era in cartellone in quel teatro e in quell’altro. La pièce viene rappresentata cinquanta volte e dunque è vista da circa 30.000 persone, poiché molti, per esempio chi ha i biglietti gratis, l’hanno vista due volte, per le scenografie, per le attrici o per lo scrittore. La pièce stampata viene comprata al massimo da 1.000 persone. Indaghiamo ora su quanto il colpo abbia scalfito la vecchia corazza che appariva impenetrabile. Il regno ha una popolazione di 4.605.668 abitanti. Togliamo da questi chi ha visto e letto la pièce, così vediamo se il gran totale è cambiato di molto. Così si presenta: 4.534.668. Solo due cifre in mezzo sono cambiate. Se tu avessi detto che la popolazione del regno è di 4  milioni e mezzo in cifra tonda, quelli che non hanno visto la pièce ammonterebbero comunque a 4 milioni e mezzo (e 34.000 in più, proprio i tuoi ascoltatori!). Se aggiungi che questi tuoi ascoltatori erano soltanto stoccolmesi (con rare eccezioni), in modo che la tua timidezza sarà obbligata a riconoscere che in questo caso hai scritto solo per gli habitué del teatro di Stoccolma, amici, recensori e qualche altro! Come puoi dunque credere di aver scritto per l’intero paese e tanto meno per l’umanità? […]

Andrea Pocosgnich
Twitter @AndreaPox

METAMORFOSI
(DI FORME MUTATE IN CORPI NUOVI)
Fortebraccio Teatro
da Ovidio
traduzione Piero Bernardini Marzolla
adattamento e regia Roberto Latini
musiche e suoni Gianluca Misiti
luci Max Mugnai
costumi Marion D’Amburgo
con
Ilaria Drago
Alessandra Cristiani
Roberto Latini
Savino Paparella
Sebastian Barbalan
direzione tecnica Max Mugnai
riprese video Francesco Cordio
foto Futura Tittaferrante
organizzazione Nicole Arbelli
produzione
Fortebraccio Teatro e Festival Orizzonti Fondazione
con il sostegno di
Armunia Festival Costa degli Etruschi

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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