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Dracula a teatro? Tutti i rischi del genere horror

Lo spettacolo Dracula. La leggenda di Massimo Beato e Jacopo Bezzi. Recensione e un piccolo approfondimento sul genere horror

foto di Manuela Giusto
foto di Manuela Giusto

Nel 1897 veniva pubblicata la prima edizione di un’opera destinata a essere tra i capofila del genere horror. Mettendo un punto a una fiorente stagione, Dracula di Bram Stoker raccoglieva temi e visioni del grande romanzo gotico del Sette e Ottocento, quello in cui primeggiavano firme come Jonathan Swift, Anne Rice, Edgar Allan Poe, Matthew Gregory Lewis, E.T.A. Hoffmann, Mary Shelley. Tracciando un solco tra epoca romantica ed epoca moderna, lo scrittore irlandese avrebbe avviato una trasformazione, quasi una traslazione di epoche in grado di inserire nelle atmosfere tenebrose – pervase da quell’«incanto del mostruoso» teorizzato dal filosofo britannico Edmund Burke – i semi di un ragionamento fantascientifico, che da H. P. Lovecraft avrebbe portato ai vari Philip Dick, William Gibson, Isaac Asimov e persino Stephen King.

Complice la genesi della storia, che pescava dalle tradizioni popolari est-europee, di Dracula avremmo visto per tutto il Novecento ogni genere di adattamento, tra teatro, cinema, letteratura e videogiochi. Il mito del vampiro si sarebbe appropriato di tutta quella componente animalesca e viscerale, perdendo via via l’intenzione basilare dell’opera di Stoker, che tentava uno straordinario cortocircuito tra eros e thanatos. Mentre in Inghilterra usciva Dracula, a Parigi apriva i battenti Le Grand Guignol, che fino al 1963 sarebbe stata la culla del “teatro degli orrori”, affollato dal pubblico borghese in cerca di qualche brivido. Con l’avvento del cinema il genere horror – a teatro basato sì sulle atmosfere ma anche su primordiali “effetti speciali” – avrebbe cambiato casa, tanto da rendere davvero risibile ciò che l’arte dal vivo (ostacolata dalla convenzione del “falso”) poteva timidamente offrire. Tutta questa introduzione serve a dare un quadro dell’affare spinoso che la Compagnia dei Masnadieri ha tentato di gestire, per tre settimane di repliche, nel piccolo spazio romano del Teatro Stanze Segrete. Debellata l’idea di una platea frontale, il gruppo riorganizza l’ambiente giocando su una strettissima prossimità tra gli attori e con il pubblico. A sopravvivere sono solo i personaggi di Jonathan Harker, giovane avvocato inviato a Castel Dracula per mediare l’acquisto di proprietà a Londra, la sua innocente moglie Mina, che è in realtà la reincarnazione del grande amore del dannato principe di Valacchia Vlad, la sua viziosa amica Lucy, che di Dracula sarà la prima vittima inglese, e il vampiro stesso. Pur a fronte di un’ingegnosa gestione dello spazio, claustrofobico e pieno di piccoli oggetti, l’avventuroso montaggio drammaturgico non riesce a farsi fluido e a smarcarsi da una resa posticcia della storia.

dracula
foto di Manuela Giusto

A guardar bene questa versione diretta da Jacopo Bezzi riunisce le sue fragilità sotto una questione fondamentale: la mancata libertà dello spettatore di immaginare da sé l’anima complessa e terribile di un personaggio che, suggerisce Stoker, potrebbe esistere davvero o essere solo la proiezione delle paure della borghesia. E a trasferire un tale messaggio non basta, relegato nell’epilogo, un delirante monologo di Harker sull’avidità dei potenti. L’idea di delegare molti passaggi della trama alla lettura dei diari del dr. Van Helsing e del dottor Seward (che ha in cura Renfield, impazzito dopo aver incontrato il mostro) fa riferimento alla forma epistolare del romanzo, la cui forza tuttavia sta proprio nell’assenza del personaggio di Dracula, che compare solo attraverso stralci di lettere e memorie dei protagonisti. Se la scelta di mostrare il vampiro, uno Jacopo Venturiero che amministra in maniera pregevole l’esperienza accademica della “Silvio D’Amico” mescolandola alle sortite televisive, non riesce a colpire nel segno è, a nostro parere, a causa di due fattori principali, essenziali per una corretta lettura non tanto di Dracula ma dell’intera opportunità di riportare l’horror a teatro.

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foto di Manuela Giusto

Il trucco pur ben realizzato non regge la minima distanza (che lascia percepire i pori sotto al cerone e le finte rughe) e l’intera idea visiva si appoggia troppo, in particolare, all’adattamento cinematografico più fedele e insieme più felice: Bram Stoker’s Dracula di Francis Ford Coppola (1992). Certo, il citazionismo è parte integrante del genere horror, ma occorre fare attenzione a non tramutarlo in sbilenca imitazione: le musiche (che su alcuni comunicati stampa sono spacciate per originali) provengono invece direttamente dalla colonna sonora del film, così come addirittura certi abiti, posture e intonazioni. Insieme a una recitazione troppo affettata e fuori parte, la struttura drammaturgica, che non fa incontrare mai le due coppie di protagonisti e tenta di far convivere Inghilterra e Transilvania negli stessi dieci metri quadri, paga il prezzo di un’atmosfera da tunnel dell’orrore mai davvero in grado di colpire allo stomaco se non quando si grida improvvisamente in mezzo a una frase parlata.

Quando si ha a che fare con una convenzione precisa come quella del teatro occorre saperne sfruttare le potenzialità ed evitarne i rischi. Soprattutto quando si vuole comunicare inquietudine e risvegliare certe microscopiche permeabilità dei sensi, siano essi cinque o di più. In una dimensione viva come quella dell’arte performativa, la potenza dell’opera di Stoker, così come quella di altri grandi della letteratura horror, sta nel mezzo con cui l’immaginario si salda all’interno della coscienza del lettore (o spettatore): complice anche la concorrenza (e l’influenza) di cinema e letteratura, esperienze una iperrealista, l’altra iper-immaginativa, risulta davvero rischioso tentare di investire la messinscena del ruolo autoritario di “induttore” di suspense. E infatti – come ci capitò con un sorprendente adattamento americano di The Call of Cthulhu (The Visceral Company) – i frammenti più efficaci sono quelli che conservano il testo originale in mano ad attori in grado di usare parola e presenza come strumenti per solleticare un’emozione nativa nell’essere umano: sia essa commozione, rabbia o, appunto, terrore.

Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982

visto al Teatro Stanze Segrete, Roma, dicembre 2014

DRACULA. LA LEGGENDA
di Massimo Beato
con Jacopo Venturiero, Massimo Roberto Beato, Nicoletta La Terra, Maria Teresa Pintus
regia Jacopo Bezzi
produzione Compagnia dei Masnadieri

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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