Recensione di Quod Supererat di Elisa Turco Liveri e Chiara Condrò
Ci sono artisti che vediamo in ogni festival o rassegna nazionale, scambiati in circuiti che fanno il verso a quelli grandi degli Stabili e che godono di una stima “partecipativa” più che artistica, godono cioè del presenzialismo più che della reale incidenza e del valore della proposta, poi ce ne sono altri che lavorano in silenzio e non “girano”, non sanno portare la propria voce a farsi grossa in contesti che li riconoscano, cercano di dare sfogo minuto a un’esigenza in cui ancora si riconoscono, pur nella difficoltà di piccole salette in cui provare, incrociando la volontà di fare teatro con la necessità di mantenersi al mondo. Questi artisti non hanno sostegni produttivi, non vendono studi ai festival nazionali aggiungendovi un minuto alla volta, non sono a contatto con l’establishment culturale nazionale o cittadino, non vincono bandi residenziali. Fanno semplicemente teatro. E se tra questi c’è da segnalarne qualcuno è un piacere raddoppiato poterlo fare, avere un ascolto e metterlo a disposizione. Raddoppiato perché nella loro difficoltà tecnica (e tattica) si scorge ancora quel valore primario che muove all’arte, svilito invece in altri contesti, con la cui dispersione si confronta anche chi scrive e ne dà conto.
Avevamo già parlato di Elisa Turco Liveri e Chiaro Condrò, per uno spettacolo tratto dalla scrittura di Antonio Moresco – Duetto – che faceva dialogare Maria Callas con la tenia che la tormentava. In questo caso le incontriamo di nuovo per Quod Supererat, lavoro precedente che pur vinse il Crash Test Festival 2012 ma che torna in scena a Roma soltanto ora, dopo due anni dalla sua realizzazione. Per soli due giorni. Ed è un peccato. Perché il loro merito oltrepassa il silenzio in cui ha attraversato di nuovo un palcoscenico.
Le due zittelle, racconto di Tommaso Landolfi scritto nel 1943 (Adelphi, 1992), ha ispirato più di un progetto teatrale. Portato in scena a metà degli anni Zero da Anna Marchesini, esso è alla base anche dello spettacolo La Scimmia, risalente agli stessi anni e riscritto da Elena Stancanelli, con cui Emma Dante seguiva ai successi di mPalermu. Turco Liveri/Condrò ne portano in scena una versione che in una fase iniziale sembra avere parentela con quella dell’artista siciliana, poi però prende una via tutta personale e di qualità.
Dopo che un prologo sullo schermo video curato da Salvatore Insana come in una fiaba (anche se noir) le avrà presentate, in una stanza in penombra due donne di nero vestite vegliano l’una l’altra, presiedono una morte che le attende e che sembra vicina, in tutto simile allo stato dormiente. Dorme in loro un desiderio? Chissà, si avverte però nel godimento autoerotico che le coglie sfogliando un calendario di aitanti giovani sacerdoti, come se ne vedono in giro davvero, oppure vedendo i santini appesi come poster adolescenti, che molto più semplicemente esso è forse annichilito da una cecità religiosa in cui annientano ogni spirito vitale. Finché tuttavia non apparirà la presenza estranea, capace di scardinare un equilibrio radicato. L’arrivo cioè di un messia (Manuel Cascone) che porta una parola diversa, che non farà piacere a chi determina l’impianto fideistico in cui le due sono coinvolte, ma che le rinviene da una stagnante repressione. Come ovvio, però, la reazione sarà corrispondente all’azione come una carica elastica: tanta la compressione, tanto esplosiva la liberazione. Con tutto ciò che determina.
Nella scrittura di Landolfi che passa per il teatro resiste quel carattere di vibrante esaltazione che coglierà molti successivi scrittori dal linguaggio denso, come Parise, Morselli, Manganelli, fino al più recente Arbasino. L’uso ironico di un latino improvvisato, sull’impianto della vecchia liturgia clericale, determina allora una scelta ben precisa di privilegiare proprio il linguaggio, pur non ignorando che il teatro ha bisogno di elementi di compensazione; e dunque non è certo povero il lavoro fatto con le luci, con i movimenti scenici tesi a caratterizzare i due personaggi ben oltre la loro categoria del titolo originale, con la composizione dello spazio che le raccoglie in una cellula fin troppo astringente.
Quod supererat. Letteralmente è ciò che sopravviveva, che restava. Quindi, consapevoli che ciò avviene solo in relazione al passato, si può tradurre al presente delimitando ciò che resiste, oggi, e che nelle due “zittelle” viene minato fino al punto di scoppiare. La loro solitudine asfittica è sconvolta dall’arrivo dell’uomo tra gli uomini, ma a cosa precisamente non avranno saputo resistere alla fine di tutto? Ciò che resta, è in loro o definitivamente, ormai, fuori di loro?
Simone Nebbia
Twitter @Simone_Nebbia
*Un ringraziamento speciale alla consulenza del professor Alessandro Di Iorio
Visto in maggio 2014 al Teatro dell’Orologio di Roma
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QUOD SUPERERAT
Liberamente ispirato a Le due zittelle di Tommaso Landolfi
di e con: Manuel Cascone, Chiara Condrò, Elisa Turco Liveri
video : Salvatore Insana
luci : Giovanna Bellini
musiche: Manuel Cascone
produzione: Compagnia del Meta-Teatro, Turco Liveri/Condrò
spettacolo vincitore del Premio Crash Test 2012