Recensione di Cinque Agosto, scritto diretto e interpretato da Serena Di Gregorio
Abituati all’impersonalità metropolitana potremmo aver dimenticato quella dimensione collettiva scaturita dal ripresentarsi ciclico della festa. Riconosceremmo certo quel sentimento in alcuni contesti (ora qualcuno lo direbbe di una partita di calcio, magari qualcun altro avrebbe condiviso l’attesa della prima Gassosa) oppure potremmo accettare di seguire un viaggio nella memoria scoprendoci diversi tutti gli anni ma tutti gli anni uguali. È quel che si racconta in Cinque agosto, spettacolo scritto diretto e interpretato da Serena Di Gregorio e finalista dell’ultima edizione del Premio Scenario per Ustica.
Al teatro Bi.Pop. Zaccaria Verucci – anche questo, luogo “comunitario”, in cui si divide il pasto, e gli incassi vanno tutti alle compagnie – quasi nessuna distanza tra la platea e il palchetto rialzato sul quale si staglia una catena di luminarie a segnare il luogo. Cornice sempre uguale è quella della festa patronale all’interno della quale si susseguono gli episodi di una vita, tutti “ripresi” nello stesso giorno del Cinque agosto, dall’infanzia alla vecchiaia, evocati dal fuoriuscire di piccoli oggetti simbolici dalle botole di quel palchetto, che diventa come un cassetto dei ricordi, pieno di madeleines di proustiana memoria, che però, per esser ancor più forti forse necessiterebbero di una maggiore compenetrazione con la drammaturgia.
Dalle gioie infantili e le monellerie con l’amica, dalle prime gelosie e i primi amori, Di Gregorio porta il personaggio alla maturità, in cui le perdite e i disastri della guerra sono coperti di fumo, fumo della memoria offuscata o fumo di un treno che per sineddoche appare e lascia che siano le parole a renderci evidenti i fatti. Perché la forza di questo lavoro, che certamente può ancora crescere ma che altrettanto certamente si trova su una buona strada, sta nell’abilità di mostrare attraverso il racconto non solo una vita intera ma la temperatura di un paese a cavallo tra le epoche. Se Di Gregorio inizialmente si appoggia su registri più buffoneschi per rappresentare l’età infantile fatta di moine e vocali strascicate, di vestiti tirati su e calze che perennemente si abbassano, lentamente prende piede la serietà dell’età adulta, alla quale però non manca mai una vena comica. Felice intuizione quella di mantenere alcuni comportamenti, alcuni “vezzi” della protagonista bambina anche da adulta, ritrovandola anche in quella anziana: spalle ricurve sulla piccola borsetta, intenta a chiamare lo stesso nome di quand’era ragazza. Del resto Cinque Agosto, racconta la stessa autrice, nasce in seno ad un lungo lavoro di interviste ad anziani. Un lavoro che dalla memoria personale – con un italiano vivacemente sporcato, e per questo vivissimo – cerca di ricostruire per frammenti una memoria collettiva: della Storia riprende le tappe come da lontano, partendo da un piccolo paese di provincia. Si sente – forse troppo leggero – il peso della guerra che miete vittime, arriva la gioiosa scoperta per i nuovi prodotti di consumo, bibite frizzanti, cappuccino schiumoso e Juke box, si fa strada la ricerca per il lavoro che guarda caso riguarda quella che è stata la fabbrica più fiorente del dopo guerra italiano, la Fiat. Vengono con essa anche le fatiche e gli acciacchi di un lavoro duro malamente retribuito, che curva la schiena senza rinfrancare l’animo. Il tutto mediato da un unico personaggio, in uno stesso luogo, quella festa sempre uguale, che cambia per ciò che accade a chi la popola.
Viviana Raciti
Twitter @viviana_raciti
Visto in maggio al Teatro Bi.Pop. Zaccaria Verucci
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CINQUE AGOSTO
con Serena Di Gregorio
testo e regia Serena Di Gregorio
mixer luci e musica Andrea di Bella
foto Alessandro Boni, Tomaso Mario Bolis