Per fare il teatro che ho sognato: rassegna di incontri alla Casa dei Teatri di Roma
Roma non fu costruita in un giorno. Eppure a grande velocità sta venendo distrutta. Almeno la Roma culturale e teatrale. Occorrono idee e progetti non tanto “nuovi” (aggettivo che indica tutto e niente) quanto attenti e in grado di intercettare le urgenze. Si tratta di luoghi comuni, certo ma forse è proprio quello che la nostra città sta perdendo: il senso dei luoghi comuni. Mentre gli spazi dedicati alla formazione sono monopolizzati da istituzioni para-accademiche spesso ben lontane dall’essere un grimaldello di libertà per la creatività e sempre più omologanti, mentre diminuiscono le opportunità per gli artisti di disporre di un tempo protetto per la creatività pura, la città – e come questa molte altre – è abitata da un brulicare di nuove energie. Il folle fermento in cui una tale emergenza culturale ci ha gettati genera una spinta vitale che con sempre maggiore attenzione va analizzata e registrata.
Prima ancora di parlare dei linguaggi e della loro efficacia, però, si tratta di concentrarsi sulla nascita delle pratiche e sulla loro necessaria e militante permanenza. Il teatro è innanzitutto questo, una pratica, e delle pratiche osserva le dinamiche di consolidamento, trasmissione o annullamento. A promuovere, questa volta, questa ricognizione, è un ente che a simili responsabilità dovrebbe rispondere molto più spesso: l’università. Da un’idea di Annarita Colucci e del docente Guido Di Palma nasce Per fare un teatro che ho sognato, un ciclo di incontri con le nuove realtà teatrali promosso dall’Università La Sapienza. Quelle compagnie e quei gruppi informali che si affacciano (o tentano di farlo) al panorama del professionismo e, facendolo, si interrogano proprio sul senso di questo ultimo sostantivo. Le domande, per chi il teatro lo fa e lo osserva, sono sempre le stesse: quale che sia l’identità poetica di questo o quell’ensemble, come è possibile far sopravvivere quella pratica al di fuori dei circuiti “ufficiali”, dei premi nazionali, dei contributi pubblici?
Perché se è vero che il teatro può avere (e a volte gli è richiesto con fin troppa insistenza) connotazioni imprenditoriali, è evidente che il “mercato” che dovrebbe accoglierlo non esiste. E il motivo non è – non solo – l’arretratezza culturale di un paese, ma la pretesa di un pensiero comune che pone la pratica artistica al pari di altre voci di profitto.
Ripartire dalle pratiche, dunque, dalla possibilità di creare un luogo di incontro in cui si instauri un dialogo. Il ciclo di appuntamenti, che aveva già presentato un’anteprima quasi ufficiosa tra le aule dell’ateneo capitolino nell’autunno 2013, si sposta ora alla Casa dei Teatri, portando alle Scuderie del Villino Corsini a Villa Pamphilj dodici compagnie, per dodici venerdì dal 16 maggio al 4 luglio 2014. A sostegno del progetto sono il Comune di Roma, il Teatro di Roma e l’Associazione Teatrale dei Comuni del Lazio (Atcl), che curerà un videoracconto dell’intera rassegna e che sta lavorando per rendere possibile una fase “fuori porta” nel Festival di Rieti a fine luglio. E questa è solo la prima fase, un secondo round si aprirà nell’autunno 2014. Oltre a docenti e ricercatori del Dipartimento di Arte e Spettacolo, seguiranno gli incontri anche operatori della Casa dello Spettatore e redattori di questa testata, nel tentativo di innescare un dibattito critico, realizzare una sorta di “mutuo soccorso” in sostegno alla sostenibilità di tutte queste pratiche e favorire quello scambio anche con il pubblico. Pubblico che non assisterà soltanto a uno spettacolo, ma a una completa e approfondita dimostrazione di un modello di lavoro, con esempi sul tipo di training seguito dalla compagnia, sui metodi di preparazione alla scena, in una parola allo “smontaggio” in diretta di un processo creativo e performativo. Perché molto prima che con il ragionamento (critico o meno critico che sia), diceva Platone, «le buone idee vengono dallo sfregamento delle persone».
Quanto al ruolo documentario di tutto questo, ruolo che su queste pagine ci vede e ci vedrà impegnati e che si connette direttamente a quell’idea di interpretazione del presente che va oltre la mera attestazione di qualità, qualche secolo dopo Platone Victor Hugo amava dire: «Il successo è disgustoso. La sua falsa somiglianza con il merito inganna l’uomo». Ma nella nostra lingua “successo” è anche participio passato del verbo “succedere”, indica qualcosa che è accaduto, che ha dimostrato la propria esistenza. Sta qui l’importanza di un progetto come questo, nel testimoniare una presenza.
Sergio Lo Gatto
Twitter @Silencio1982
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