Il nome di Neil LaBute riappare di tanto in tanto sui nostri palcoscenici e negli ultimi anni ciò accade con una certa continuità. Fino a poco tempo fa giravano per l’Italia addirittura due messinscene di Pretty, una con la regia di Giorgio Gallione e un’altra firmata da Fabrizio Arcuri. Anche a Roma ciclicamente (senza però riuscire ad affermarsi stabilmente) e soprattutto negli spazi più off viene proposto il teatro dell’autore e regista del Michigan. Fino al 13 aprile al Sala Uno era possibile scoprire un dramma durissimo mai messo in scena in Italia, La distanza da qui, con la direzione di Marcello Cotugno. Il regista partenopeo è uno dei massimi conoscitori e probabilmente uno dei primissimi scopritori di LaBute in Italia, già nei primi anni 2000 metteva in scena Bash per poi continuare con La forma della cose nel 2005. Per Cotugno quello di LaBute è un vero è proprio leitmotiv nella carriera teatrale, tanto che alla fine dello scorso anno al Bellini di Napoli ha messo in scena anche Some Girl(s).
Il progetto del collettivo DRAO è rischioso e ambizioso, non solo produttivamente, dato che sconta le problematiche di qualsiasi compagnia indipendente che voglia affacciarsi su un panorama teatrale romano con un testo mai rappresentato in Italia, costretta dunque ad affidarsi al crowdfunding per coprire i costi vivi come l’affitto della sala, ma anche perché in questo caso la pièce di LaBute ha a che fare con un mondo di solitudine soprattutto giovanile.
Siamo in una indefinita periferia americana: due adolescenti vivono tra scuola, spesso saltata, noiosi centri commerciali, lo zoo e la famiglia scardinata nei propri valori fondanti. Madri giovanissime divorziate, massacrate dal lavoro e incapaci di trasferire qualcosa ai propri figli, capitati al mondo quasi per caso e aggrappati con le unghie solo agli istinti più primordiali. Ma il motore del dramma sono i ragazzi appunto, Darrel, Tim e Jenny. In questi ultimi due brilla una speranza di alternativa rispetto al mondo violento rappresentato da Darrel.
Darrel è un animale in gabbia, proprio come gli scimpanzé di cui si prende gioco nella prima scena, sempre pronto ad attaccare, a sottomettere, caricato a molla per esplodere, con una rabbia celata dallo strafottente sorriso. L’esplosione avverrà per una questione futile e allora per Darrel non resterà altra via d’uscita che la fuga, misurando in lontananza quella distanza che dà il titolo allo spettacolo e separa un nuovo inizio dalla città natale.
Per un testo del genere c’è bisogno di un gruppo di attori affiatati, di giovani talentuosi e sinceri che non cadano nel facile stereotipo dell’attore americano così come televisione e cinema ce lo hanno consegnato in decenni di doppiaggio: il gruppo non cade nel tranello, diretto con grande efficacia riesce a trovare naturalezza anche grazie alla sporcatura gentile di alcune delle voci con qualche accento regionale. Poi ci sono i ritmi molto calibrati, la scena organizzata per spazi fissi (un salotto con divano e tv, un garage con lo scheletro di un auto) e dinamici, alcuni solo suggeriti da una serie di cartelli appesi al soffitto.
È vero ciò che dice Cotugno nelle note di regia e la realtà raccontata da Labute, per quanto tragica, è in fondo assimilabile a molte province italiane. La crisi dei valori non è meno globalizzata del mercato. La scrittura dell’ex mormone di Detroit accende la miccia della polveriera su cui siamo seduti quotidianamente e senza scampo ribalta la realtà mostrandone il lato più oscuro.
Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox
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in scena fino al 13 aprile 2014 Teatro Sala Uno Roma
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LA DISTANZA DA QUI
di Neil LaBute
traduzione Marcello Cotugno e Gianluca Ficca
con Elia Bei Federica Carruba Toscano Alessandro Formica Alessia Giuliani Alessandro Lui Rachele Minelli Sara Pantaleo Enrico Sortino
regia Marcello Cotugno
scenografia Francesco Scandale
luci Giuseppe Romanelli
costumi Cecilia Iommi
colonna sonora a cura di Music#Theatre