La danza d’autore e contemporanea nel nuovo festival al Teatro dell’Orologio, Eden Connect the dots
Eden luogo desiderato e sperato, il regno del possibile originario, della promessa di vita e della nascita per antonomasia. Dimensione riconoscibile ma non collocabile in un preciso spazio, poiché la sua è essenza e non esistenza, che è eterea, precaria e sospesa, quasi a estinguersi fuggevolmente nell’istante di un rapido gesto.
Nel nuovo festival al Teatro dell’Orologio Eden – Connect the dots c’è «uno spazio per la danza d’autore, affiancandola a molte altre esperienze: l’illustrazione, la musica, la narrazione, il cibo… per unire i puntini dell’identità sociale», attraverso cinque percorsi d’incontro con il gesto, il suono, il gusto, la parola e l’immagine. Progetto di crowdsourcing e crowdfunding nato dall’idea di due organizzatori under 30 – Gianni Parrella e Gianluca Cheli – in collaborazione col Teatro dell’Orologio e con cinque coreografi: Riccardo Buscarini, Silvia Mai, Lara Russo, Irene Russolillo e Francesca Cola. Ciascuno di loro, oltre a presentare i propri lavori, sarà tutor mentoring nel progetto Dancing on my own attraverso il quale «un gruppo di giovani danzatori preparerà una partitura fisica, seguirà workshop corpo a corpo (faccia a faccia con tutor) per rafforzare la creazione e presentarla il 27 aprile in un final sharing al Teatro dell’Orologio».
Per aprire questi cinque giorni di danza, nella prima serata inaugurale del festival un teatro gremito di appassionati, danzatori e critici sono giunti a prendere parte a questa celebrazione del e per il gesto coreografico. Due i lavori in scena: il primo 10 tracce per la fine del mondo di Riccardo Buscarini, e Lamp di Kontejner Centro del Balletto di Roma della coreografa Silvia Marti.
Il primo è vincitore di The Place Prize 2013 e con il suo lavoro – che si è aggiudicato il Fondo Fare Anticorpi 2012 a favore della ricerca, della creazione artistica e della promozione della danza contemporanea e d’autore dell’Emilia-Romagna – vuole rendere omaggio ai suoi primi dieci anni di danza, creando dunque un assolo composto da altrettante dieci tracce di brani memorabili. Il prologo allo spettacolo, proiettato su di uno schermo nell’esiguo e ristretto ingresso del teatro, svela la sua modalità di lavoro e scrittura coreografica che vuole essere sia di tipo «concettuale che strutturale, affinché il concetto poggi su di una struttura solida». Una volta in sala, il lavoro è stato introdotto da una voce che annunciava il finale all’insegna dell’autodisfacimento. Nella durata di un’ora, vestito con pantaloni neri e camicia con panciotto, il danzatore dà vita a una serie di quadri di decostruzione del gesto, quasi ingabbiato in un corpo che sembra non raggiungere mai la perfezione formale, fallendo nel tentativo di parlare al microfono posizionato su di un’asta al lato destro della scena che metaforicamente diventa prima una montagna poi una scala infinita, sulla quale una volta in cima si rimane irrimediabilmente muti. Dieci è il numero raffigurato sul pavimento con grani di sale grosso versati a terra fin dall’inizio, numero il cui aspetto e forma sarà man mano scalfito dai movimenti di Buscarini, arrivando a scomporre il dieci originario in una serie di dieci piccoli cumuli di sale. Originale l’idea autobiografica e personale, agita da un corpo pronto a dissolversi e frammentarsi in una miriade di potenzialità trasversali, che lo rendono perciò imprevedibile e di volta in volta nuovo e ricostruito. Tuttavia il gesto non riesce ad andare oltre la preparazione «concettuale e strutturale» ricercata dallo stesso Buscarini, il quale rischia di rimanere bloccato in una danza racchiusa nella sua autoreferenzialità ed egocentrismo.
La Artemisianur Dance Company nasce nel 2009 dalla volontà della coreografa Silvia Marti e nel 2014 cambia nome in Kontejner Dance. «Lamp è un progetto performativo in divenire, diverso ogni volta, una sorta di mondo in cui tutto potrebbe accadere, dove tutti i sensi possono essere coinvolti, le emozioni emergono, gli umori si alternano e la relazione fra movimento, spazio e musica diventa predominante». Un lavoro di indubbio riferimento alla Modern e Postmodern dance, specialmente nelle sequenze iniziali in cui i danzatori si muovono organicamente in gruppo emettendo suoni (fischi, respiri, rumori) per poi dissolversi in soli individuali. Interessanti e divertenti le espressioni mimiche dei quattro danzatori, due uomini e due donne, che sembrano creare un racconto corporeo a unire il gesto puro con una spiccata teatralità. Comiche e irriverenti le relazioni tra i quattro, troppo inclini però alla tendenza di spostare la propria attenzione dal movimento traslandola sul piano della verve recitativa; per questo è possibile scorgere alcune imperfezioni formali che inficiano sulla resa complessiva di questa “coreografia teatralizzata”.
Creare spazi nei quali poter tessere relazioni e innesti artistici è una prerogativa indispensabile e necessaria; «unire i punti» è un obiettivo piuttosto arduo quando tutto sembra parcellizzato in individualità isolate. Resta però la testimonianza di una traccia, la prova che anche se circoscritto, breve e di passaggio, l’ impulso per un’unione congiunta è stato lanciato e, in questo caso, accolto.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
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