Da Scena sensibile: Alessandra Cristiani in Io è un altro e Bottoni/Villari con Evelina
Scena sensibile, rassegna di teatro al femminile curata da Serena Grandicelli presso il Teatro Argot Studio giunge, anche se con le fatiche dovute agli ormai troppo abituali tagli, alla sua ventesima edizione. Atti che appaiono come giustificabili nell’ottica di ristrettezze – considerando la cultura come un investimento a fondo perduto, un buco succhia-soldi più che entità portatrice di valore – sembrano dimentichi di quel compito fondamentale demandato alle arti, quale che sia la loro declinazione. Se quel taglio non è più un conferimento puntuale di forma, ma strappo, allora la sfida diviene proprio questa per chi rimane, farsi testimonianza di questa ferita lasciata scoperta. Articolati dall’8 al 23 marzo, saranno dunque spettacoli che pongano al centro del loro discorso – anche se con alcune eccezioni – questa sferzata violenta, vertendo ora sull’aspetto percettivo, ora sulle sue conseguenze, ora percorrendo una tangente che dal fantastico si sposti su riflessioni più acute.
Le prime declinazioni hanno prediletto, con mezzi diversi ma in modalità affini, il racconto di un’atmosfera, preferendo immergere lo spettatore in una dimensione sensoriale, supportate da una cura per la composizione formale molto studiata, e dal forte valore simbolico. Il primo, Io è un altro, solo ideato e interpretato dalla danzatrice Alessandra Cristiani, parte idealmente, per dichiarata volontà, da alcuni autoritratti della fotografa Francesca Stern Woodman suicidatasi poco più che ventenne nei primi anni Ottanta. Nella penombra di un palco quasi vuoto la danza si modella facendosi tramite da un’immagine all’altra costituendo una sorta di flusso di incoscienza dove alla compostezza, alla ricerca, si alterna il dolore (in un volto quasi vitreo, testa rivoltata e occhi sorpresi a cercare lo sguardo altrui), la rabbia di un frutto scagliato, la baccante, l’inferma, la bambina.
Evelina, invece, sviluppa quella che gli autori stessi (Gianluca Bottoni e Cinzia Villari) chiamano “narrasenz’azione”: sovrapposto ad un mixage di suoni, la voce di una donna sarà l’unica protagonista di un breve racconto in cui al vibrare del vento fa eco un terrore incompreso, violenza raccontata come in forma indiretta, senza poterne cogliere la totalità della situazione. Potrebbe essere un radiodramma, esclusivamente ascoltabile. E tuttavia il fatto stesso di “costringere” gli spettatori a rimanere senza la vista, avvolti in un buio totale, lo sposta su un piano assolutamente teatrale, chiedendo a chi assiste una presenza non usuale, spingendo a cogliere anche una minima variazione di respiro, a sopperire lì dove il resto manca.
Entrambi i lavori propongono dunque un percorso sul limite e sulla costrizione: acuire la sensibilità percettiva dello spettatore presente, modulando attenzione, sguardo, udito; perché no, anche l’olfatto potrebbe esser coinvolto dato l’odore di succo di fragole schiacciate al suolo. Entrambi chiedono di sacrificare qualcosa per concedersi ad altro, ma se in Evelina saranno voce e suono a farsi immagine prendendo corporeità nella mente di chi ascolta, Io è un altro pone davanti ad una scelta di visione. Da cosa è attratto lo sguardo? Dalla calla poggiata sul pavimento, dal piccolo specchio leggermente orientato verso la platea, dal percorso delle evoluzioni coreutiche o dal suo essere corpo esposto? La scena accoglie la nudità, ormai non più provocatoria come un tempo (anche se la recente citazione in giudizio per Fanny & Alexander sembrerebbe attestare il contrario), diviene vestito imponente, non perdita ma aggiunta di segni, di nervi e muscoli tesi, di respiro che muove la pancia, dell’attrazione per il corpo intero. La provocazione c’è, ed è palese, tant’è che a fine performance con mano inferma Cristiani (attraverso le parole della Woodman) scriverà sul muro nero a mo’ di lavagna: «You can not see me from where I look at myself». Non puoi vedere da dove io mi guardo. Eppure la reazione degli astanti sembra turbarsi d’altro, non delle contorsioni, non il nudo in sé, che diviene segno sì ma fino a un certo punto. Il disagio occorre all’assenza, nel credere che anche un vuoto possa dirsi pieno di qualcosa e non solo tempo da saltare velocemente, fondo perduto da cui scansarsi, invece che lasciarsi attraversare.
Viviana Raciti
Twitter @Viviana_Raciti
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IO È UN ALTRO
musica originale Carlo Moneta
ideazione luci Gianni Staropoli
coreografia e danza Alessandra Cristiani
EVELINA. UN ACCADERE SENSIBILE. UNA NARRASENZ’AZIONE
creazione di Gianluca Bottoni e Cinzia Villari
voce di Cinzia Villari, Gianluca Bottoni, Fulvio Ferrario
registrato e mixato da Francesco Fazzi