Danza contemporanea: tre recensioni brevi per tre spettacoli visti a Dominio Pubblico
Aldes
SCENE DA UN MATRIMONIO
di Roberto Castello
interpreti Alessandra Moretti, Mariano Nieddu, Fabio Pagano
musiche AAVV
produzione ALDES, in collaborazione con i festival Danza Urbana (BO) e Urban Bodies (GE)
con il sostegno di MIBACT, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Direzione Generale per lo spettacolo dal vivo, Regione Toscana – Sistema Regionale dello Spettacolo
Nato nel 2008 come una performance per gli spazi urbani, Scene da un matrimonio di Roberto Castello/ALDES, è andato in scena dal 7 al 9 marzo al Teatro dell’ Orologio. Invitati a questo rito di passaggio euforico, goliardico e folkloristico, salutiamo dapprima gli sposi Alessandra Moretti e Fabio Pagano e poi ci accomodiamo non in platea – i cui posti sono coperti da lunghi teli rossi e neri – ma sul palco in semicerchio, ognuno munito di un bicchiere di spumante per il brindisi augurale. A interrompere la festa ci pensa un terzo personaggio, Mariano Nieddu, che irrompe in scena come fosse una sorta di spirito panico manipolando i corpi degli sposi e le loro molteplici espressioni. Come istantanee di un giorno indimenticabile, i due danzatori bloccano la loro gestualità in pose plastiche, la cui immobilità sembra ricordare le maschere di una «commedia umana» di balzachiana memoria. Dietro questa mutevole fissità scorgiamo un duro lavoro di preparazione sia coreografico che attoriale, sintesi imprescindibile per una resa scenica così accurata. Nel guardarli ci si dimentica della cornice teatrale, e come silhouette strappate allo sfondo della scena ce li immaginiamo in un parco, in una sala da pranzo, una camera da letto o in una balera lontana, dove suonano quelle musiche tzigane che accompagnano l’intero lavoro. Dopo la strada questa performance approda a teatro e, se esso è la festa per eccellenza, possiamo ben dire che ALDES ha riportato la festa nel suo luogo originario.
Lucia Medri
Twitter @LuciaMedri
visto al Teatro dell’Orologio nel marzo 2014
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SAVE THE WORLD
ideazione, creazione e interpretazione Leonardo Diana
musica e video Andrea Serrapiglio
animazioni Ronnie Orroz
costumi Lucia Castellana e Leonardo Diana
disegno luci Mario Bacciottini
scenografia Leonardo Diana
in coproduzione con Versiliadanza / CLAK – Teatro Contagi
con il sostegno di Kilowatt Festival
Spettacolo finalista NeXtwork 2013
Mentre l’audio diffonde, mischiato a interferenze radio, le prime celebri parole della sigla di Ken il Guerriero («Siamo alla fine del Ventunesimo secolo – nella sigla era Ventesimo, ndr – il mondo intero è sconvolto dalle esplosioni atomiche. Sulla faccia della terra gli oceani sono scomparsi e le pianure hanno l’aspetto di desolati deserti […] Tuttavia, la razza umana è sopravvissuta»), dalle macerie di un mondo fatto di cellophane emerge un unico sopravvissuto. Sperduto in un silenzio asettico, sarà Leonardo Diana investito del compito di creare nuova vita. E lo farà prendendo le sembianze di un grottesco supereroe, tuta attillata come Batman nella serie anni Sessanta e che qui porta in trasparenza una targhetta Decathlon e un sommario cappuccio/mascherina. La “genesi”, così in gergo è chiamata la nascita dei supereroi di carta, avviene attraverso una serie di prove che il fondale adibito a schermo per proiettore gli propone come se si trovasse in un videogame interattivo. Sceglie il suo equipaggiamento, supera livelli di ostacoli e viaggi dentro labirinti bidimensionali, sempre con un piglio sperduto e comico che somiglia a quello delle star del cinema umoristico anni Venti e Trenta, tra Buster Keaton e Charlie Chaplin.
Il corpo di Diana, che muove una partitura agile e muscolare nel piccolo spazio dell’Argot, anima con grazia un pupazzo fatto con pezzi di riciclo e con l’intera azione rende omaggio ai nostalgici delle graphic novel di una volta; la breve durata aiuta a non far soffrire l’usura del gioco, il cui messaggio ecologista (la paradigmatica piantina che finirà per fiorire come unico punto di colore naturale sulla scena) non rinuncia a essere consolatorio. Gustosi e ben misurati sono i video di Andrea Serrapiglio e le animazioni d’autore di Ronnie Orroz, per questo che è un gioco leggero e senza pretese, fatto col cuore ma forse in cerca di una qualche misura di coraggio in più.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
guarda il video su e-performance.tv
visto al Teatro Argot Studio di Roma nel marzo 2014.
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ALMA
coreografia e interpretazione Giorgio Rossi
costumi Giorgio Rossi
luci Michelangelo Campanale
tecnico luci Alessia Massai/Matteo Fantoni
musiche Fabrizio de Andrè‚ Death in Vegas‚ John Oswald‚ King Krimson
testi Cesare Pavese‚ Pablo Neruda‚ Alda Merini‚ Giorgio Rossi
un ringraziamento particolare a Danio Manfredini‚ Lorenzo Cherubini‚
Graziano Migliacci‚ Roberta Vacchetta‚ Beatrice Giannini
produzione sosta palmizi
con il sostegno di Ministero per i Beni e le Attività Culturali e della Regione Toscana
«Danzo per il silenzio che c’è dopo. Forse la vita va vissuta per il silenzio che c’è dopo». Se l’anima è il riflesso di segretezza che si insinua tra gli interstizi di corpo e pensiero e ancora se la pensassimo come una soggezione reciproca tra impulso della carne e ascesi degli ardori capiremmo immediatamente che nessuna esattezza può parafrasarla, o meglio che non esiste univocità in grado di incastonarla in forme fisse. Anima è colei che ci deduce e il fascino del suo profilo criptico risiede proprio nel fatto che non possiamo che dedurla a nostra volta senza mai guardarla. Perché i suoi occhi sono dentro e fuori dai nostri, perché le sue parole sono la Babele dei tremiti del nostro spirito. Giorgio Rossi della compagnia Sosta Palmizi ha portato in scena al Teatro dell’Orologio Alma, una performance di teatro-danza che queste constatazioni le ha vivificate nel flusso della sua anatomia parlante, nell’antididascalia delle liriche di Cesare Pavese, di Alda Merini, di Pablo Neruda, sulle note trapassanti “l’ultimo vecchio ponte” della Preghiera in Gennaio di Fabrizio De Andrè. La figura dell’interprete, qualità della presenza rimodulata tra espressioni del viso e azione, rende vivo il contrappunto tra flusso dinamico e stacchi, micromovimenti e cali che esperiscono gli assi verticali e orizzontali della dimensione scenica. L’equilibrio di narrazione e anti-narrazione permette a questo spettacolo di farsi viatico di una profondità che scava in chi lo osserva attraverso il dubbio, la domanda, una ricerca di interpretazione che senza imposizioni può essere convertita dalla fruizione di ognuno. I versi registrati, pronunciati, accennati e spezzati lasciandone intuire il seguito, si impastano e compenetrano le immagini in palcoscenico, ritornano ai libri disposti nello spazio, volano tra le pagine come braccia di un aliante, alfabetizzano un testo afono trasformandolo in bocca che articola il lessico poetico. Rifuggendo il dogma della sua fissazione, si recupera la religione della poesia attraverso il coraggio del sacrilegio. «Verrà la morte e avrà i tuoi occhi. / Sarà come smettere un vizio, / come vedere nello specchio riemergere un viso morto, / come ascoltare un labbro chiuso. / Scenderemo nel gorgo muti»*.
Marianna Masselli
Twitter @mari_masselli
* Cesare Pavese – Verrà la morte e avrà i tuoi occhi (Giulio Einaudi editore, Torino 1951=
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