Recensione dello spettacolo Sul mimar di musica di e con Rò Rocchi
Il lunedì i teatri sono chiusi. Quasi tutti. E quelli che restano aperti ospitano spettacoli amatoriali, saggi di scuole (le più varie) e tutt’al più reading. Il Tordinona di Roma dedica invece i lunedì di marzo a festeggiare i 40 anni di carriera di un artista d’eccezione, che forse in pochi, troppo pochi, conoscono. Romano Rocchi, teramano, in arte Rò Rocchi, all’età di settant’anni incarna molto semplicemente una delle pochissime chance rimaste di vedere in azione del mimo corporeo allo stato puro. I suoi primi quarant’anni di lavoro avevano già visto una celebrazione nel novembre scorso con l’evento 40 anni Rò, abbinato a una mostra promossa dal Centro Sperimentale di Fotografia adams dal titolo Ho fatto il mimo e ti racconto come. Ora il teatro di via degli Acquasparta gli lascia il piccolo palco della Sala Strasberg per incontrare in quattro riprese, insieme all’ottimo e affabile contrabbassista Cristiano Argentino – consueto compagno di performance – musicisti sempre diversi, sotto il titolo di Work in Progress – Sul mimar di musica, due brevi performance di una potenza davvero rara.
Dopo un’introduzione strumentale a metà tra la dissonanza pura e il sottofondo horror, la piccola porta alla sinistra del palco comincia ad aprirsi cigolando sinistramente. Lenta, più lenta, più lenta. L’uomo che compare è un vecchio magro come un fuscello, con larghi pantaloni di seta che gli nascondono le gambe filiformi. Sul suo volto, truccato appena a evidenziare zigomi, sopracciglia e labbra, sembra essersi abbattuta con tutta la violenza un’intera di vita di disequilibrio: le uniche parole saranno «To be or not to be, this is the question of the theatre». La sua azione – qua e là legata a una sedia e a un piatto da orchestra che percuote e fa volteggiare – è improntata a una mimica facciale davvero straordinaria e all’uso di mani nodose e con i tendini che gridano, passa da spasmi che sembrano strappare i muscoli a rallenty degni di un dinosauro, disegnando sulle fibre tirate come corde di violino la straziante evidenza di un’età che richiede uno sforzo per ogni micro movimento, salvo poi esplodere in gesti acrobatici e capriole che giocano proprio a tradire quell’impressione di fragilità. Il volto scavato come nella creta raggiunge la sua massima espressività quando le labbra sottili articolano qualche veloce parola: il suono muto si distribuisce invece su fronte, collo, spalle e corpo tutto, ora avvolto in una torsione che riporta il tutto alla danza. Il secondo ingresso, in bombetta di paglia, gilet e maglia a righe è un piccolo omaggio a Marcel Marceau ed Ettore Petrolini, introdotto da pochi versi sommessi che inquadrano quella malinconia del clown invecchiato, quel suo non appartenere a questo pianeta, e poi esplode in un’eruzione verbale in stretto dialetto abruzzese.
In quaranta anni di carriera Rocchi è passato da Londra a Roma, dove negli anni Settanta ha cofondato il Gruppo Tre, poi l’atelier teatrale di ricerca musicale Cielo, ha lavorato con vari ensemble, è passato a trovare La Mama di New York e La Stampa scrive che il suo nome «è spesso abbinato a quelli di Jean Louis Barrault, Roy Bosier, Marcel Marceau e Moses Pendleton». Al di là di tutti i possibili riferimenti – soprattutto quelli a personaggi non più viventi – la piccola suggestione di questo articolo è invece specialmente dedicata a tutti quegli artisti attivi adesso, adesso vivi, che passano da questi palchi scegliendo il teatro come porto da cui o su cui dirigere una ricerca. Avete ancora due lunedì di tempo per vedere in scena una forza della natura, per assistere all’alchimia di un’arte astratta in grado di stupire, divertire e commuovere. Come è accaduto a chi scrive.
Sergio Lo Gatto
Twitter @silencio1982
visto al Teatro Tordinona di Roma in marzo 2014
in replica il 17 e il 24 marzo 2014
WORK IN PROGRESS – SUL MIMAR DI MUSICA
di e con Rò Rocchi e Cristiano Argentino