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La vertigine neonazista di Michele Riondino

Recensione de La vertigine del drago con la regia e interpretazione di Michele Riondino

 

La vertigine del drago Riondino Mortelliti
foto Giacomo Cannata

«Francesco, naziskin alle prime armi, incontra Mariana, zingara zoppa ed epilettica. Uomo fisicamente e verbalmente violento il personaggio maschile, che sembra non lasciare spazio alla pietà e alla comprensione, donna apparentemente fragile, disadattata, sola, il personaggio femminile, insieme, nei loro tratti singolarmente goffi e a volte persino buffi, trovano velocemente spazio per un latente e insospettabile filo rosso, estratto dalle loro problematicità. Durante un agguato a un campo rom ad opera di un gruppo di neonazisti, Francesco rimane gravemente ferito e per riuscire a mettersi in salvo prende in ostaggio Mariana».

Vi basti gran parte della sinossi contenuta nel programma di sala per immaginare La vertigine del drago, di Alessandra Mortelliti, in scena al teatro Ambra alla Garbatella fino al 2 marzo e già presentato al Festival Dei Due Mondi di Spoleto nel 2012. Letta la sinossi non dovrete fare altro che immaginare una sorta di garage sul palco, con tanto di saracinesca: poi prendete Michele Riondino, protagonista (oltre che regista) insieme a Mortelliti e chiedetegli di mugugnare di dolore tenendosi il ventre da quando si apre il sipario a quando si chiude. È lui Francesco, un ragazzo che (secondo lo schema classico di certe narrazioni sull’estrema destra, anche veritiere per carità) ha perso l’affetto della fidanzata con la quale aveva appena avuto un bambino, ha perduto pure il lavoro, nessun genitore vicino ed ecco i naziskin pronti ad accoglierlo a braccia aperte. Ha luogo in un passato precedente all’accaduto teatrale, in una fabula che per noi riecheggia in un mix di ricordi sonori, poi è di nuovo il presente a irrompere e l’intreccio ci riporta sugli strettissimi binari del plot primario: Francesco non sa cosa fare col proprio ostaggio, i suoi camerati, quelli dell’Ordine, lo chiamano per risolvere la faccenda, intanto lui passa il tempo a inveire contro la ragazza Rom – per inciso e senza moralismi: nel testo ci sono più “cazzi” “mortacci tua” “froci” e altre scurrilità che frasi di senso compiuto – e il tutto con una pallottola in corpo digrignando i denti e perdendo sangue. Ma per sua fortuna la ragazza (divertente e simpatica la prova dell’attrice e autrice) ha studiato un po’ di medicina seguendo di nascosto le lezioni all’università, il resto potete immaginarlo…

La vertigine del drago Riondino Mortelliti
Foto Giacomo Cannata

Nel testo della Mortelliti (supervisionato da Andrea Camilleri) ci sono alcuni spunti interessanti: la scansione del tempo, il ritmo del linguaggio, il suo iperrealismo (imprecazioni, dialetto e lingua da strada), una tessitura verbale per la quale i silenzi sono importanti quanto i dialoghi creando quasi un contrappunto. Ma questa è tecnica. Tra l’altro non supportata dalla regia, incapace di guardare oltre la soluzione di mezzo (tra grottesco e realismo), oltre la recitazione urlata e sofferente, l’approccio mimetico al personaggio – sul palco rimane più sangue finto che verità.

Inoltre ci sarebbe da chiedersi a chi parla questo spettacolo, probabilmente a una cultura estremista di 15 anni fa: ricordate il film Teste rasate? Pellicola low budget di Claudio Fragasso, diventata poi un piccolo cult, che nel 1993 tentava di raccontare la sottocultura degli skinheads romani. Quel film per quanto incompiuto, retorico e ambiguo parlava di un’emergenza, La vertigine del drago sembra arrivato fuori tempo massimo: chi sono questi adepti dell’Ordine? In quali realtà sociali si muove il nazismo raccontato da Riondino e Mortelliti? Insomma in un momento di caos politico e culturale nel quale il malcontento si ritrova nell’estremismo di destra politicamente imbellettato e reso presentabile di fronte alla legge e all’opinione pubblica, qual è il senso di raccontare di un gruppo di teste rasate senza nome? Eppure questo estremismo in Italia e a Roma ha nomi ben precisi basta guardare negli stadi, tra i partiti politici… ma forse in questo caso si aveva voglia di raccontare una semplice favoletta a lieto fine.

Andrea Pocosgnich
Twitter @andreapox

in scena fino a l 2 marzo 2014
Teatro Ambra Alla Garbatella [cartellone 2013/2014] roma

LA VERTIGINE DEL DRAGO
di Alessandra Mortelliti
supervisione al testo Andrea Camilleri
con Michele Riondino e Alessandra Mortelliti
regia Michele Riondino
assistente alla regia Diego Sepe
scenografia e costumi Biagio Fersini
disegno luci Luigi Biondi
trucco Eva Nestori
assistente ai costumi Sandra Astorino
direttore tecnico Daniele Torracca
organizzazione Annalisa Gariglio
ufficio stampa Claudia Scuderi
foto di scena Giacomo Cannata – Windmill Digital Design

una produzione Ass. Cult. Artisti Riuniti in associazione con Palomar e in collaborazione con 15 Lune Produzioni

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Andrea Pocosgnich
Andrea Pocosgnichhttp://www.poxmediacult.com
Andrea Pocosgnich è laureato in Storia del Teatro presso l’Università Tor Vergata di Roma con una tesi su Tadeusz Kantor. Ha frequentato il master dell’Accademia Silvio D’Amico dedicato alla critica giornalistica. Nel 2009 fonda Teatro e Critica, punto di riferimento nazionale per l’informazione e la critica teatrale, di cui attualmente è il direttore e uno degli animatori. Come critico teatrale e redattore culturale ha collaborato anche con Quaderni del Teatro di Roma, Doppiozero, Metromorfosi, To be, Hystrio, Il Garantista. Da alcuni anni insieme agli altri componenti della redazione di Teatro e Critica organizza una serie di attività formative rivolte al pubblico del teatro: workshop di visione, incontri, lezioni all’interno di festival, scuole, accademie, università e stagioni teatrali.   È docente di storia del teatro, drammaturgia, educazione alla visione e critica presso accademie e scuole.

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