Quando si va per la prima volta a vedere una compagnia, con l’intenzione di scriverne su un giornale, uno dei compiti obbligati per tentare di non fraintendere, dare per scontato, sottovalutare o commettere ingenuità è farsi un giro di ricognizione sui materiali forniti da quella compagnia. Purtroppo riuscire a capire qualcosa dei componenti dell’enseble Oblivion è pressoché impossibile: i testi e le biografie pubblicate sul loro sito web sviano diligentemente ogni possibile indagine. Non è dato sapere quale sia la formazione di questo sopraffino quintetto di attori-cantanti (Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda e Fabio Vagnarelli), intuirne il percorso, comprendere realmente il progetto artistico. L’unico documento utile è una «preistoria» scritta da Scuda, che infila qualche informazione sulla genesi del primo spettacolo (un omaggio al Café Chantant) in una verbosa favoletta che procede per situazioni paradossali e pseudonimi sulla falsa riga del primo libro della Bibbia.
No, non stiamo apertamente criticando questa impostazione, perché è di fatto molto coerente allo spirito che abitava il palco durante Othello – La H è muta, in scena alla Sala Umberto di Roma fino al 15 dicembre. Tra il teatro canzone à la Gaber e gli arrangiamenti per ensemble vocale del Quartetto Cetra si snoda una parodia della tragedia shakespeariana non dimentica dell’apporto di Giuseppe Verdi, che nel 1887 metteva in musica il capolavoro del Bardo su un libretto di Arrigo Boito. Si è detto di Gaber e del Quartetto Cetra; il trio Lopez-Marchesini-Solenghi e il dissacrante gruppo comico inglese Monty Python completa idealmente l’olimpo di ispirazione: questa versione dell’Otello deve molto a quel tipo di umorismo dell’assurdo che avrebbe fatto scuola per tutto un filone, da Little Britain al cinema demenziale all’americana (Una pallottola spuntata, Hot Shots, etc.).
Si parte con gli attori tra il pubblico, intabarrati in mantelli neri alla ricerca del Moro di Venezia nel buio dei canali. Il collegamento con «il Moro di Brescia Balotello» non lascia ben sperare, ma faremo presto l’abitudine a certe svisate di comicità rasoterra, in bilico tra la satira dei costumi e un più ammiccante appoggio su i personaggi noti della (sotto)cultura di stampo televisivo. Otello, Desdemona, Iago, Cassio ed Emilia saranno personaggi sufficienti a riassumere l’intera vicenda, strutturata in maniera sapiente da arrangiamenti per piano e canto d’assieme e da un “libretto” senza dubbio efficace, rubato ora a Boito ora a Shakespeare, ora infarcito di inserti contemporanei, il tutto al servizio dei modi e dei ritmi del musical. Avendo a disposizione solo un pianoforte a coda, un cambio d’abito e un semplice ma ingegnoso apparato di legno che si trasforma da veliero, a trono, a letto, il ritmo è affidato all’indiscussa maestria vocale e all’affiatamento di questi potenti animali da palcoscenico. La recitazione scandita e fortemente mimica strizza l’occhio alla rivista anni Venti ma riesce a farlo senza cadere nel nostalgico: nell’economia di uno spettacolo di puro intrattenimento e grazie a un’intelligente distribuzione che gioca molto sull’aspettativa del pubblico, è apprezzabile anche la discesa in un profilo fieramente demenziale e nonsense e qualche indugio sulle imitazioni di personaggi noti (in risposta ai monologhi: «Rifammelo come Ligabue, rifammelo come Vasco Rossi», etc.).
Si sarebbe apprezzato un più coraggioso gioco a dissacrare la musica colta, mentre lo spettacolo finisce per appoggiarsi su un terreno sicuro e in fondo innocuo, arrangiando lunghi e briosi medley che contengono una selezione di evergreen del pop-trash, ma bisogna riconoscere che l’eccellenza tecnica e ancor di più l’evidenza di una performance “divertita” (ancor prima che divertente) si unisce alla particolarità della musica vocale per costruire un piccolo prototipo di linguaggio che al mero cabaret pieno di stereotipi che affolla le platee oppone una qualche forma di messa in arte. A fronte di una serata divertente, tuttavia, a mancare è di fatto una ricerca coraggiosa sul contemporaneo, in termini di codici, di temi e di urgenze. Ed è a questo che dovrebbe servire il teatro in quanto tale, per non essere solo assimilato all’insieme dispersivo dello spettacolo.
Sergio Lo Gatto
Alla Sala Umberto di Roma fino al 15 dicembre.
OTHELLO – LA H È MUTA
uno spettacolo di Oblivion
con Graziana Borciani, Davide Calabrese, Francesca Folloni, Lorenzo Scuda, Fabio Vagnarelli
Al pianoforte Denis Biancucci
Testi di Davide Calabrese e Lorenzo Scuda
Arrangiamenti musicali di Lorenzo Scuda
Consulenza registica Giorgio Gallione
Una co-produzione Il Rossetti Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Malguion s.r.l., BaGS Live
Scene Paolo Giovanazzi
Realizzazione Costumi Alicia Martin
Armi e armature Manuela Segurini per “Corte delle Spade”
Cigno Andrea Croci
Audio Giuseppe Pellicciari e Corrado Cristina
(Mordente Music Service)
Luci Claudio Tappi (Octavius Corporation)
Lo replicheranno qui in Trentino il 19 dicembre, a Pergine. Magari cerco di vederlo e di dare anche un mio brevissimo parere qui! A presto,
Enrico.