«Se avessi saputo che la mia commedia sarebbe diventata un bene collettivo, le avrei dato un altro titolo meno ridicolo, più seriamente comico». Il drammaturgo Eugène Ionesco non poteva certo immaginare che a partire dalla prima rappresentazione de La cantatrice calva nel 1950, per la regia di Nicolas Bataille, l’opera avrebbe superato le diecimila repliche. Antiteatro? Anticommedia? Teatro dell’ Assurdo? Innumerevoli le categorie nelle quali si è cercato, invano, di collocare questo testo che rifugge da qualsiasi classificazione estetica. Una cosa è certa, «quella minuscola curiosità del teatro odierno», come la definivano all’epoca i più scettici, ha sicuramente rinnovato, capovolgendola, la drammaturgia borghese.
Dal 28 novembre al 15 dicembre, la Compagnia Ginepro Nannelli presenta a La Casa delle Culture – che gestisce e di cui organizza l’attività dal 2000 ormai – l’adattamento del prima lavoro teatrale del drammaturgo rumeno con la regia di Marco Carlaccini. Molti i giovani, probabilmente una scolaresca, che riempiono la sala spoglia e senza palcoscenico, dove il salotto borghese del testo originale viene ridotto ai suoi elementi essenziali: la Pendola al centro dello spazio – i cui rintocchi accompagnano il pubblico a prender posto – e ai lati, due cubi damascati come sedie. Illuminati da una luce fioca fanno il loro ingresso il Signore e la Signora Smith, Marco Carlaccini e Patrizia D’ Orsi, discorrendo di una grottesca ordinarietà che mette in crisi quel conformismo borghese denunciato da Ionesco. Seguono poi il Signore e la Signora Martin, Claudio Capecelatro e Sara Poledrelli, dimentichi della loro vita coniugale: un mistero che la cameriera Mary, Xhilda Lapardhaja, sembra svelarci alla maniera di Sherlock Holmes. E poi il pompiere, Ludovico Nolfi, il quale inizia a raccontare aneddoti che però non raccontano nulla, perché paradossali e privi di significante o di morale.
Tutti sotto lo stesso tetto e nel medesimo salotto inglese, in una contrainte di tipo linguistico. Definita dallo stesso autore una tragedia del linguaggio: scisso, vuoto, assente, che rende gli stessi enunciatori caricature di loro stessi. Non a caso, Ionesco trasse spunto per questo lavoro dalla banalità delle frasi presenti sul manuale di conversazione di lingua inglese che leggeva per esercitarsi a parlare. Altro protagonista di rilievo è il tempo rappresentato dalla severa Pendola, in continua contraddizione e le cui lancette a tratti scompaiono oppure mischiano ore e minuti, grazie all’espediente tecnico di rendere il centro della pendola uno schermo bianco sul quale proiettare il quadrante. Il climax finale impostato sul «senso del non senso» in cui si alternano proverbi e modi di dire inglesi, frasi fatte, canzoncine e grotteschi versi, è mirabilmente interpretato dai sei attori in scena, che rappresentano la rottura di un meccanismo ormai inceppatosi nel suo antilinguaggio e nei suoi movimenti marionettistici. Manca, tuttavia, il finale originario in cui la pièce ricomincia da capo con i Signori Martin che prendono il posto degli Smith per sottolineare il carattere del tutto intercambiabile dei ruoli.
Se non fosse per i costumi e il trucco eccessivi e fuori luogo – poiché assurdo non vuol dire strambo o eccentrico – l’intero adattamento parrebbe rispettare appieno lo spirito della tragedia composta e disperata di chi si avvicina al baratro, la nevrosi razionale di un’umanità allo sbando e frammentata nei suoi gesti meccanici e ripetitivi.
Lucia Medri
visto a La Casa delle Culture
dal 28 nov 15 dic 2013 solo dal giovedi alla domenica
Guarda lo spettacolo su e-performance.tv
COMPAGNIA GINEPRO NANNELLI
di Eugène Ionesco
regia Marco Carlaccini
con
Marco Carlaccini
Patrizia D’Orsi
Claudio Capecelatro
Sara Poledrelli
Xhilda Lapardhaja
Ludovico Nolfi
interventi sonori Claudio Rovagna scena Antonio Belardi costumi Antonella D’Orsi Massimo
disegno luci Giuseppe Romanelli Interprete vicario in prova Paolo Parnasi
comunicazione Olga Carlaccini aiuto regia Valentina Casadei foto di scena Pino Le Pera