La biografia è sempre stata un rovello artistico di Riccardo Goretti. Anche il lavoro con gli Omini, il gruppo toscano con cui abbiamo imparato a conoscerlo artisticamente, era spesso incentrato sul tentativo di portare in scena pezzi di vita vera, le voci di un luogo, l’evolversi delle vite di personaggi anonimi (come nel fortunato Crisiko!). Voci e ossessioni, tic ed espressioni gergali prese rigorosamente a prestito da un tessuto umano reale, quasi a voler restituire, nel montaggio teatrale, una cartografia delle vite anonime, una mappatura antropologica della esistenza umana che ci scorre attorno e di cui non ci accorgiamo.
Ora che Goretti ha intrapreso una carriera solista, lo sguardo di un tempo non è cambiato, ma sono mutati gli approcci e la forma. Dove prima c’era una polifonia, in cui le biografie si stagliavano indistinte sullo sfondo dei lessici e delle idiosincrasie verbali, ora troviamo una storia. E l’ambizione di raccontarla “così com’è”. D’altronde già il titolo dello spettacolo, Essere Emanuele Miriati, nel suo fare il verso al noto film di Spike Jonze con protagonista John Malkovich, è una dichiarazione di intenti. Tanti sguardi, tante voci, ma per restituire una singola individualità. Una storia di cui, ancora una volta, non potremmo accorgerci se non grazie all’ossessione di Goretti per la quotidianità. Emanuele Miriati, che vediamo in scena all’inizio nell’interpretazione di Goretti, dialoga – si fa per dire – con la tomba di qualcuno (un amico?). La sua storia, i suoi problemi con le relazioni sentimentali, la mal sopportazione di una vita familiare di provincia si snocciolano pian piano davanti a noi. Con fulminei cambi luce, poi, sempre Goretti interpreta altri personaggi – il padre, un ex collega albanese, una trans con cui Emanuele è convito di avere una specie di relazione – che forniscono su Emanuele ulteriori punti di vista. Una serie di voci che si intrecciano tra loro fino a far emergere una vita.
Ma che tipo di vita? Una vita come tutte le altre. L’ambizione di Goretti – che ha montato in scena interviste reali con persone reali, a partire dallo stesso Miriati che ha anche collaborato ai testi – è far brillare quella materia grezza e coperta del fango della non importanza, il quotidiano più corrivo e apparentemente insulso in cui la stragrande maggioranza delle persone vive. L’esatto contrario della biografia letteraria, che insiste sulle mirabilia di vite importanti, vicende esemplari, cose da ricordare. Si può obbiettare facilmente: non è la stessa ansia dei reality, quella di trasformare le vicende di gente comune in contenuti per i propri palinsesti? Niente affatto. Perché non si celebra né si esalta alcunché. Non c’è podio, né riflettore che non sia luce intima del teatro. C’è una vita colta anche nella sua crudezza. Ma soprattutto, c’è il racconto. La storia che passa di bocca in bocca fino a trovare una collocazione. E c’è la “messa in arte”, la vera redentrice di ogni sguardo indiscreto d’artista, quella in grado di sfumare i confini delle parti – chi guarda, chi parla, chi ascolta – e illuminare di colpo, anche in piccola e oscura sala teatrale come quella del Tordinona a Roma, ogni storia di universalità. Complice non secondario anche la recitazione di Goretti, cresciuta notevolmente in questi anni.
Che guardando al quotidiano Goretti intenda attivare un gioco di specchi, lo si vede anche dalla coda extraspettacolare che ha questo Essere Emanuele Miriati. L’attore toscano chiede a gente comune, colleghi attori, critici e a chiunque altro passi per i suoi spettacoli, di farsi una foto con la maglietta-gadget dello spettacolo, dove campeggia la scritta «Io sono Emanuele Miriati». Eh sì, d’accordo caro Goretti, saremo pure tutti Emanuele Miriati. L’estremo quotidiano sarà certo in grado di restituire un’esistenza sciatta in cui tutti siamo immersi, senza riferimenti né valori, costretti a reinventarceli ogni volta con fatica, annaspando nel mare di cinismo che è anche nostro, al quale a volte ci aggrappiamo come a una scialuppa. Ma nella vita come nell’arte il “come” conta almeno quanto il “cosa”, e spesso anche di più. E anche negli abissi dell’insignificanza ci sono sguardi e facce e voci e mondi che valgono quanto un’opera d’arte, anche se contraddicono ogni scala di valore. Perché gli uomini, così come gli attori, pur annaspando alla deriva di un’epoca difficile da maneggiare, non smettono mai di cercare un ordine alle cose. In definitiva, di raccontare.
Graziano Graziani
visto al Teatro Tordinona di Roma nel novembre 2013
cartellone
Guarda lo spettacolo su e-performance.tv
ESSERE EMANUELE MIRIATI
di e con Riccardo Goretti
collaborazione ai testi e alla scena Emanuele Miriati
Collaborazione tecnica Duccio Burberi
Realizzazione tomba Francesco Bresci