«Somewhere over the rainbow», cantava la piccola Dorothy alla fine delle sue avventure nel mondo di Oz, alla ricerca di ciò che si cela oltre questo arcobaleno scintillante nella speranza di poter finalmente ritornare a casa. Ma l’enfant prodige Judy Garland ai tempi delle riprese aveva già decennale esperienza. Quasi una metafora della sua esistenza, quel percorso meraviglioso e dorato era nella sua realtà, rappresentazione affascinante e pericolosa del mondo dello spettacolo che, pur accordandole fama e gloria, non le risparmiò di cadere in momenti bui. In questa parabola coloratissima Garland non trovò mai l’affetto che cercava, morendo d’overdose alla fine di un’estenuante tournée londinese nel 1969.
End of the rainbow, scritto nel 2005 da Peter Quilter, più che un musical è un dramma musicale che racconta proprio di quest’ultimo periodo e arriva sul palco romano del Teatro Eliseo (rimanendovi fino al 15 dicembre) per la fedele regia di Juan Diego Puerta Lopez che dell’originale rispetta perfino la ricostruzione dell’imponente suite d’albergo internamente cosparsa di lampadine da ribalta. Un’unica scena dal gusto rococò sarà spazio d’azione per tutto lo spettacolo, diventando anche il palco delle esibizioni raccontate grazie a semplici cambi di luce. Grande importanza riveste la musica, naturalmente, con un pianoforte a coda in proscenio e una piccola band dal vivo per le varie esibizioni che alterneranno la narrazione delle vicende. Tra prove, tentati o inscenati suicidi, creditori inviperiti, giornalisti ammaliati e un notevole repertorio di canzoni – forse un po’ troppo lunghe, ma dagli interessanti risvolti – soltanto due personaggi affiancano la protagonista, il pianista omosessuale Anthony e l’ultimo fidanzato Mickey Deans.
A vestire i panni della diva è Monica Guerritore, da sola in grado di governare uno spettacolo che altrimenti rimarrebbe opera celebrativa scintillante ma pericolosamente dimenticabile, adatta forse più a una trasposizione cinematografica che a quella teatrale. Merito di questo testo è tuttavia la presenza di un personaggio che farebbe gola a molte attrici. Efficace nella sua ambivalenza, Judy è credibile nei repentini cambi di comportamento: all’autoironica e brillante diva di Hollywood si oppone una tormentata esistenza oltre il palco, segnata da un costante bisogno d’amore insoddisfatto e placato soltanto dal continuo uso di alcol e droghe propinatele già in tenera età da coloro che le stavano accanto, come attestano gli accenni alla madre che le forniva eccitanti durante le riprese di The Wizard of Oz di Victor Fleming o i riferimenti ai suoi numerosi mariti, interessati più alla star che alla donna. Viene alla luce allora la dicotomia tra arte e show business; nei momenti di lucido e disperato rifiuto verso quel mondo dorato che l’acclama, Garland, perennemente terrorizzata dal non corrispondere alle aspettative di un mondo sempre più fagocitante, dichiarerà più volte la propria impotenza a dare qualcosa che non è riproducibile all’infinito. In quei casi ci si dimentica della retorica che a volte si ritrova nel testo, lasciando spazio a momenti più lirici, durante i quali risalta ad esempio la fragilità del non riuscire più a coprire la propria estensione – e qui il merito è tutto di Guerritore, che fa della difficoltà di non esser cantante uno strumento realistico, riuscendo a convincere comunque poi della propria interpretazione canora.
Discorso diverso andrebbe fatto per le due figure d’appoggio. Il fidanzato Mickey (interpretato da Alessandro Riceci), che seppur non strabilia per l’interpretazione rimane nei ranghi del proprio ruolo, mostra nel corso del tempo di scivolare senza sbavature affettate dalla parte di fidanzato affettuoso al produttore senza scrupoli e immorale. Judy (ebbe cinque mariti) era molto sensibile alla tematica omosessuale; in seguito alla sua morte ci furono le prime manifestazioni gay, ricorda Vladimir Luxuria invitata dalla protagonista a salire sul palco assieme al drammaturgo – presenti entrambi in sala – dopo la rappresentazione. Anthony (qui Aldo Gentileschi) è forse l’unico a provare un sentimento puro per Judy e desiderando il suo benessere arriverà ad appoggiarne il rifiuto a calcare le scene, spingendosi perfino a proporle una fuga da tutto. Tuttavia la forzata caratterizzazione rende il personaggio poco credibile rispetto all’equilibrio di naturalezza raggiunto dalla protagonista, di cui indebolisce la forza emotiva.
Lo spettacolo si apre con un sipario color oro, simbolo di quel mondo che l’aveva accolta e innalzata. Ma la fine di questo arcobaleno è tragica: mentre il nostro personaggio accenna cantando quella che forse è la sua interpretazione più celebre, cade al suolo; senza l’apparenza scintillante di quel tessuto dorato, rimane la voce di Judy Garland in una delle ultime registrazioni, e sembra di scorgere nel vibrato della sua voce limpida e roca allo stesso tempo, quelle contraddizioni che l’hanno resa un’icona. Allora lo scopo celebrativo diventa spunto per approfondimento e ricordo non della caduta di una stella ma della sua persistenza oltre la fine.
Viviana Raciti
in scena al Teatro Eliseo fino al 15 Dicembre 2013
END OF THE RAINBOW
di Peter Quilter
regia Juan Diego Puerta Lopez
con Monica Guerritore, Alessandro Riceci, Aldo Gentileschi
band Vincenzo Meloccaro, Gino Binchi, Stefano Napoli
arrangiamenti musicali Marcello Sirignano
costumi Walter Azzini
scene Carmelo Giammello
luci Stefano Pirandello
vocal coaching Maria Grazia Fontana e Lisa Angelillo
produzione Francesco e Nino Bellomo – Isola Trovata