Si è parlato di Anton Čechov come dell’inventore della drammaturgia contemporanea, una penna in grado di disegnare e distorcere nell’arco delle stesse battute una realtà ogni volta ricreata da zero, che al reale rappresentato si limita a somigliare, senza mai realmente pretendere slanci di identità, personaggi e situazioni inanellati da una sola reale caratteristica, squisitamente molteplice: l’umanità. Questo autore così crudelmente umanista è un pozzo senza fondo dal quale esumare oggi adattamenti più o meno audaci, alla ricerca di quell’equilibrio tra tragedia e commedia o spesso, in fuga dal rischio di non saperlo ricreare, tentando di attenersi a chissà quale memoria del teatro che fu.
Dopo una presentazione anche sul palco del Teatro Mancinelli di Orvieto, lo spettacolo vincitore della rassegna ArgotOff 2013 arriva a Roma per incassare il suo premio di una settimana di repliche al Teatro Argot Studio. GabbiaNO, della giovane compagnia Vanaclù, è appunto un felice esempio di avvicinamento al Gabbiano del grande autore russo: il trentacinquenne Woody Neri è regista, interprete e autore di un sedicente «disadattamento» del testo originale, nel quale tutti e otto gli attori coinvolti riescono a trovare posto con grande agio e precisione.
Il dramma del giovane aspirante scrittore Kostja, figlio della famosa e boriosa star del palcoscenico Arkadina e innamorato di Nina – che invece gli preferirà il mestiere di attrice e una dilaniante passione per lo scrittore Trigorin – si svolgeva nella tenuta del vecchio fratello di Arkadina, Sorin, in una afosa estate sul ciglio del Novecento.
Quando si ha a che fare con macchinari drammaturgici così millimetricamente calcolati una delle soluzioni forse più intelligenti è quella di operare una selezione. Selezione non intesa come tagli sul testo, ma (in un senso squisitamente strutturalista) come energia spesa nel determinare con precisione i fuochi su cui portare l’attenzione del testo e quindi dello spettatore. Tolto qualche guizzo anarchico nella scelta di ambienti e costumi, comunque discreti e funzionali, Neri e il suo agguerrito ensemble mantengono intatta la spina dorsale della narrazione, evitando di distorcerla ai compiti di ogni ammiccante attualizzazione e piuttosto mettendo in risalto le vertebre specifiche che muovono una vera e propria lettura del testo, non inaudita ma molto personale. Nella grande artigianalità di scena e costumi emerge un indispensabile lavoro di gruppo: una coordinazione agile e sempre a ritmo manovra un sistema di sedie sdraio, tubi a neon che si accendono e si spengono, si spostano e creano ambienti e gabbie che rimandano al titolo, in una dinamica che (anche se non sempre vi riesce) vorrebbe alludere al trascorrere delle stagioni nella sonnolenta tenuta.
Lo spazio agito sfrutta al meglio gli schemi di movimento circolare, altro richiamo a quel tempo da cui non riesce a evadere. La millimetrica direzione di azioni, sincrone e dialoghi appuntiti è messa in atto e in parole da una compagnia davvero piena di talento attoriale, di cui si intuisce la recente formazione accademica (quasi tutti provengono dalla Galante-Garrone) interiorizzata però nel migliore dei modi, cioè come veste per un agire scenico personale. Questo impianto “autogestito” si dimostra puntuale nel restituire l’idea di insieme, di gruppo di anime confinate in uno stesso spazio, a volte fuori dal mondo, a volte proprio da quel mondo soffocate. E il salto che ci porta a immaginare i personaggi come proiezioni di questi assurdi tempi di attesa che tutta una generazione sta vivendo è pregevolmente breve.
Nonostante un ottimo gusto per il grottesco, la dimensione tragica non tarda a emergere e lo fa con il giusto garbo e la giusta perfidia, anche grazie all’umiltà di un adattamento che sa quando, soprattutto negli atti conclusivi, è tempo di lasciare spazio a quel macchinario drammatico difficilmente perfettibile. E allora poco importano le imperfezioni causate dal troppo voler fare; e il fatto che Trigorin diventi un giovane regista di cinema sperimentale a metà tra il primo Andy Warhol e un hipster della Berlino di oggi; che il vecchio Sorin faccia suonare i successi degli anni Sessanta italiani; che tutti gravitino su una palude di depressione da parole crociate e riviste da leggere sotto l’ombrellone; tutto questo poco disturba, perché avanti c’è sempre la coraggiosa esperienza di gruppo. Per una volta disadattarsi aiuta un adattamento.
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Sergio Lo Gatto
GabbiaNo ovvero “dell’Amar per Noia”
da Anton Cechov / un dis-adattamento di Woody Neri
con Massimo Boncompagni, Loris Dogana, Liliana Laera, Stefana Medri, Woody Neri, Mimmo Padrone, Marta Pizzigallo, Gioia Salvatori
drammaturgia, regia e ideazione scenografica Woody Neri
concept, artwork e realizzazione scena Loris Dogana
spettacolo vincitore di Argot Off 2013 – V Edizione
Vincitore – Stazione d’Emergenza 2013
produzione Vanaclù / Teatro di Anghiari