Fino a qualche anno fa a Roma si svolgeva un festival internazionale chiamato Romapoesia, diretto dal lungimirante musicista e umanista Luigi Cinque e che (per troppo poche edizioni) aveva animato la capitale facendo riscoprire la potenza di quell’arte istantanea e però capace di restare scolpita nel tempo. In una delle ultime edizioni di Romapoesia ospite d’eccezione era stato il poeta statunitense John Giorno, voce graffiante e caustica vicina alla beat generation di Ginsberg, Burroughs, Gysin, amico fraterno e collaboratore di Andy Warhol e fondatore di progetti emblematici per la performance poetry, come il Giorno Poetry Systems, collettivo impegnato a ripensare il rapporto tra poesia e pubblico tramite l’uso della tecnologia. Non abbiamo purtroppo avuto modo di testimoniare l’incontro tra Giorno e Kinkaleri, nella parte del progetto All! Dal titolo Someone in Hell Loves You, ma del poeta, arrivando a Terni per il Festival Internazionale della Creazione Contemporanea 2013, ci restano le folgoranti liriche. A quella totale libertà e immediatezza di linguaggio era quest’anno improntata l’intera (come sempre efficace) comunicazione del festival: il verso “We gave a party for the gods and the gods all came” (“Abbiamo dato una festa per gli dei e tutti gli dei sono venuti”), slogan principale, è stata una giusta ambasciata a un evento che negli anni ha cambiato forma più volte, riuscendo a non fossilizzarsi mai. Il risultato è un ambiente creativo vivo e ampiamente partecipato dal pubblico locale, invitato ad abitare l’accogliente spazio modulare del CAOS (Centro Arti Opificio Siri), buono per trascorrere anche un’intera serata.
La nostra serata di spettacoli è partita tuttavia con una bella passeggiata, The Walk, appunto, il progetto itinerante ideato da Cuocolo-Bosetti che ha al centro «il mistero che tiene insieme viaggio, memoria e narrazione». In qualche modo simile al progetto di Lotte Van den Berg (Agoraphobia, in programma anche qui), anche qui un gruppo di spettatori, cuffie sulle orecchie, viene lasciato libero di gironzolare – minuta comunità di sconosciuti dentro una comunità di sconosciuti più grande – per la formicolante Piazza Europa. Volti, abiti, modi di camminare si avvicendano in attesa delle prime indicazioni. In testa ci risuona poi un dialogo aereo e onirico da dormiveglia, una coppia che si racconta uno strano sogno, prima di lasciarci in compagnia della voce live di una donna (Roberta Bosetti), da individuare poco dopo in mezzo alla folla, mise sportiva e zainetto in spalla. Dirà di aver ricostruito il tragitto percorso da un amico, la sera che un infarto lo stroncò tra le braccia di una prostituta cinese; ci porterà in giro per i vicoli di Terni, ci schiererà di fronte a un colonnato deserto per farci spettatori di un suo sogno rivelatore, ci inviterà addirittura a sedere a una caffetteria mostrandoci le polaroid maniacali di una memoria che registra ogni singolo particolare, spiegandoci come mettersi in cammino sia stato per lei l’unico modo per smussare l’insopportabile lama del caso, in grado di cambiare una vita nel giro di pochi istanti. Se le premesse sono affascinanti, la narrazione si perde troppo spesso nell’inseguimento di immagini liriche e di frammenti di coscienza interiore, dimenticando in parte la dimensione comunitaria e partecipata della performance e rischiando di tramutare il pubblico in uno sparuto gruppo di turisti, appesi alle parole sussurrate in cuffia, inermi e mai davvero chiamati in causa. Non che partecipare significhi per forza rispondere a delle domande, ma a mancare, in più di un passaggio, è stata la dimensione collettiva del “gruppo di sconosciuti”, soffocata forse dal troppo parlare, da una performance che sembra aver calcolato – anche troppo bene – ogni passaggio, togliendo potenza e incisività a quella “musica del caso”.
Nudo, strutturato, rudimentale e severamente frontale è stato invece Bird’s Eye View_Chroma, l’esperimento di Simona Bertozzi ed Enrico Pitozzi, rispettivamente coreografa/danzatrice e studioso/docente di Forme della scena multimediale. Al termine di un workshop coreografico di due giorni sul «funzionamento della percezione e l’analisi del movimento», quello che vediamo in scena è una performance radicalmente divisa in due da una cesura. Nella prima parte Bertozzi, in calzoncini, canottiera e berretto da aviatore, abita lo spazio sotto il bagliore di una luce che le disegna e le cancella le forme (sorprendentemente muscolari) e al suono di un soundscape fatto di graffi e partiture appuntite: una creatura che sembra osservare dall’alto i propri stessi movimenti, un corpo astrale che ha perso la propria volatilità e si ritrova a fare i conti con la irrinunciabile carnalità del movimento, tra tentativi di decollo, prove di equilibrio e una continua tensione verticale tra gravità e sostanza aerea. Questo non breve solo, forse un po’ insistito nelle ripetizioni e poggiante qua e là su troppe didascalie visive, trova però senso con l’entrata in scena – dopo qualche secondo di buio – di Pitozzi che, fogli alla mano, si limita a leggere al pubblico le proprie riflessioni. Nel puntuale e complesso testo dello studioso interviene l’analisi del movimento e delle sue radici primordiali, molto prima che della carica creativa che lo renderebbe e lo ha reso qui coreografia. In questa sorta di volo concentrico attorno al concetto di corpo che è presenza ospite del luogo in cui si muove, tornano sotto forma di ragionamento espresso molte immagini che il pubblico ha appena visto disegnate sui muscoli silenziosi della danzatrice, completando (ma non esaurendo) la costruzione di un collegamento tra corpo che agisce, percezione immediata e presa in carico di un significato.
Resta il pensiero che un’operazione del genere, potenzialmente affascinante per gli addetti ai lavori, rimanga lettera morta per chi dall’arte esige di per sé produzione di pensiero. Ma se ci si domanda spesso se quella produzione sia davvero al centro delle intenzioni di chi pratica le arti più astratte come la danza, allora un esperimento estremo come quello di Bertozzi/Pitozzi, anche qua e là troppo accademico, rende giustizia al bisogno di ricollegare i fili tra ciò che vediamo/udiamo fuori e ciò che percepiamo/osserviamo dentro, un’affascinante apertura verso nuovi codici di lettura della realtà.
Sergio Lo Gatto
vai al programma completo di Terni Festival 2013
The Walk Terni. Studio 2
Di e con Roberta Bosetti & Renato Cuocolo
Collaboratori: Max Bottino, Calos Saladino, Cristina Marras, Stefania Bertola e Serena Bertetto.
Coproduzione: IRAA Theatre, Australia Council for the Arts, Festival dell CollineTorinesi Creazione Contemporanea.
BIRD’S EYE VIEW
da Homo Ludens
Progetto: Simona Bertozzi, Marcello Briguglio
Coreografia e danza: Simona Bertozzi
Musiche: ¾ had been eliminated
Progetto luci e set: Antonio Rinaldi
Produzione: Nexus 2011 Con il contributo di: Regione Emilia Romagna – Assessorato alla Cultura (anno 2012)
Residenza creativa presso Centro Mousikè Bologna
CHROMA
Concept: Enrico Pitozzi