HomeVISIONIRecensioniAnalisi del DNA. Ecco la scena che danza

Analisi del DNA. Ecco la scena che danza

Raccogliamo di seguito quattro brevi pensieri critici sul ciclo DNA (Danza Nazionale d’Autore), alla ricerca di un pensiero dinamico su alcuni dei gruppi programmati da Romaeuropa/Promozione Danza nell’ambito del Romaeuropa Festival 2013: CANI, Tabea Martin, Marco D’Agostin e La Veronal.

CANI_Good Vibrations

cani
foto di Ufficio Stampa

La controversa figura di Lev Theremin, geniale inventore dell’omonimo strumento musicale elettronico ma anche oscura pedina per giochi di spionaggio nel bel mezzo della Guerra fredda, rivive in una performance ermetica ma forte nei concetti e nella grande fisicità. Sotto le luci bianche, una consolle e diversi strumenti di controllo remoto del suono elaborano dal vivo e distorcono un vero e proprio concerto di respiri; ai loop derivati si mescola la danza di un corpo meccanizzato che parte, si ferma, striscia, si spoglia, trattiene il respiro e tenta evoluzioni aerobiche che il polmoni non riescono a sostenere. Tra performance e danza pura, in quadri che ricordano scene di Tempi Moderni di Chaplin, vittima e carnefice si confondono creando un organismo/ingranaggio reso schiavo dai propri stessi vagiti e da un ritmo asfissiante che governa la forza di volontà. Di nuovo vediamo tornare in scena il corpo che fatica, il corpo esposto, sovraesposto e sottoposto a prove dirette da parte dello sguardo dello spettatore, qui risucchiato nel silenzio di un vortice di attenzione. Forte nell’idea coreografica, soprattutto grazie a una buona dose di ironia, è questo curioso esperimento del gruppo CANI, forse non del tutto compiuto e poco organico dal punto di vista drammaturgico, ma che risponde in pieno alla figura (storica e metaforica) che celebra. Un esperimento scientifico, appunto.

Sergio Lo Gatto

TABEA MARTIN_Duet for Two Dancers

Foto di Krunoslav Marinac
Foto di Krunoslav Marinac

Palco nudo e un microfono: spoliazione e comunicazione sembrano essere le due assi del pensiero su cui è costruito Duet for Two Dancers della svizzera-olandese Tabea Martin, andato in scena al Teatro Palladium. Il prontuario di azioni, vero e proprio elenco presentato di volta in volta dai due danzatori, articola una coreografia per frammenti intesa più come esposizione del processo creativo che del suo risultato, trovando nell’elemento dichiarato biografico la genesi e il tratto distintivo. Sembra quasi che la vita entri nella danza e viceversa, partendo dal presupposto che quanto agìto in scena da Stefan Baier e Christian Guerematchi diventi loro personale interpretazione dei «movimenti italiani» o «impossibili, sensuali, sarcastici, politici, famosi» nei quali, tolto il facile compiacimento, a destare attenzione è il pensiero da cui nasce il gesto. La sala e lo spettatore sono inglobati in questo work in progress fin da un inizio volutamente in sordina, che vede durante l’ingresso del pubblico interpreti e assistente di produzione già sul palco intenti a prender ultime decisioni scambiando con noi poche battute tuttavia sufficienti a gettar le basi per la futura condivisione.
Allontanata la spettacolarità, l’intera operazione, pur presentando caratteristiche come il frammento, l’ironia o l’autocitazione, cerca di andare oltre la logica postmoderna, ritrovando proprio in quell’umanità esposta un nuovo punto di partenza da cui riconsiderare la danza.

Viviana Raciti

MARCO D’AGOSTIN_Per non svegliare i draghi addormentati

Foto Ufficio Stampa
Foto di Ufficio Stampa

Non è un’atmosfera da sogno quella del penultimo lavoro di Marco D’Agostin (in duplice veste di ideatore e interprete), quanto invece la riproposizione della struttura onirica, ora fluida ora bruscamente interrotta, fatta di immagini definite e assieme rarefatte. Per non svegliare i draghi addormentati si rivolge al nostro inconscio, tratteggiando con una qualità d’azione intensa e trattenuta possibili figure di cavalieri senza destriero, di avventure dimenticate, di azioni in procinto d’essere ma mai svolte sino alla fine. L’identità dei personaggi che la popolano si confonde non tanto per la preponderanza del buio – evidenziato da un’illuminazione fatta essenzialmente di neon, lampada Wood e poco altro – quanto per una volontà di fusione di corpi, macchie d’olio nell’acqua unite o divise da semplici variazioni di movimento; come nei sogni, è confusa la percezione di ciò che si è. Ma non c’è oscurità senza chiarezza: un gigantesco foglio bianco campeggia come presagio fin da inizio spettacolo: portato sotto braccio da una donna esso verrà srotolato e celato nuovamente, ricomparendo solo alla fine. Non più forma in potenza, piegato e tagliato il foglio è ora un enorme origami in continua metamorfosi, realizzazione delle figure da sogno che cedono il posto all’incubo, per poi accartocciarsi ritornando materia informe. Ci si sveglia dal torpore con una chiarezza in più, chiarezza concreta di un improvviso e intensissimo fascio di luce dritto in piena faccia, la nostra.

Viviana Raciti

LA VERONAL_ Siena

foto di Ufficio Stampa
foto di Ufficio Stampa

Scegliere un luogo e lasciarsi guidare dalle suggestioni che è in grado di suscitare, questo il meccanismo che da quattro anni porta il coreografo Marcos Morau e l’ensemble a vagare col pensiero dall’America alla Russia, dall’Islanda alla Svezia nella ricomposizione di una mappa creativa d’ispirazione geografica che nel 2013 è arrivata sino alla città toscana. Il Rinascimento diviene punto di partenza, inizio di una riflessione che si trasforma in digressione e ampliamento concettuale del corpo. Esso è nucleo generatore, cardine dello sviluppo sia per ciò che ha che vedere con la natura materica, consistente, carnale della composizione sia per quello che in essa invece concerne alla fisicità come entità recante significati. Il linguaggio coreografico è angolare e fluido assieme, assolutamente personale nel suo vocabolario, narrativo e astrattissimo, scultoreo e matematico, come se fra i performer, in tenuta da schermidori, l’impulso fosse in trasmissione e si protraesse per qualità ed energia. Voci si uniscono alla partitura, passano in rassegna Mussolini, le melodie napoletane, Berlusconi, sino al suggerimento di spunti sull’immagine collettiva e personale, il suo uso e l’abuso. Grigio è il tono dominante, perlata delicatezza di ordine ambientale cui si ascrivono le anatomie in movimento e insieme cianosi di trasposizione in cui la voluttà curvilinea della Venere di Urbino di Tiziano – che enorme monopolizza quasi il fondale – diviene contraddizione all’insinuarsi di un senso di inquietudine, di disfacimento, di morte che resta infine innestato alla proporzione dell’armonia organica.

Marianna Masselli

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GOOD VIBRATIONS
progetto e realizzazione: CANI
coreografia e regia: Ramona Caia, Jacopo Jenna, Giulia Mureddu
in scena: Jacopo Jenna e Francesco Casciaro
collaborazione drammaturgica: Carlo Cuppini
luci: Roland van Ulden
organizzazione: Luisa Zuffo
produzione: CANI, Spazio K_Kinkaleri, Armunia/Festival Inequilibrio, CSC CEntro per la Scena Contemporanea/Casa della Danza di Bassano del Grappa, Centro Teatro Ateneo-Sapienza-Università di Roma, Fondazione Romaeuropa/Ente di Promozione Danza, L’arboreto-Teatro Dimora, Il Vivaio del Malcantone

DUET FOR TWO DANCERS
Coreografia Tabea Martin
Danzatori Stefan Baier e Christian Guerematchi
Musica Igor Stravinsky
Produzione Kilim Production
Coproduzione Dansateliers & Conny Jansen Danst

PER NON SVEGLIARE I CANI ADDORMENTATI
Progetto vincitore del Premio Prospettiva Danza Teatro 2012
Progetto selezionato neI Teatri del Tempo Presente – Mibac
Un progetto ideato e condotto da Marco D’Agostin
Materiale elaborato a partire da Progetto Choreoroam Europe
In collaborazione con Francesca Foscarini, Remo Ramponi, Floor Robert
Luci Remo Ramponi
Scrittura musicale Paolo Persia
Consulenza tecnica Enrico Fabris
Costumi Edda Binotto
Produzione VAN
Con il sostegno di CSC/OperaEstate Festival Veneto, inTeatro, Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza, Anagoor/La Conigliera, Teatro Fondamenta Nuove
In scena Marco D’Agostin, Francesca Foscarini, Floor Robert

SIENA
regia Marcos Morau
coreografia Marcos Morau in collaborazione con la compagnia
testo e drammaturgia Carlo Gisbert – El Conde de Torrefiel
con Cristina Facco, Laia Duran, Manuel Rodriguez, Marina Rodriguez, Cristina Goñi, Anna Hierro, Ariadna Monfort, Lorena Nogal
assistente alla regia Tanya Beyeler
spazio design e illuminazione La Veronal & Eric Planas
produzione Marcat des Flors di Bercellona, Dresda, Hellerau, El Graner, La Caldera, Centro de Artes Performativas do Algarve, Faro, Duncan Dance Center, Dance Ireland

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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