Se è vero che l’arte e con essa il teatro possano – o debbano ancora – provocare una catarsi dagli affanni della quotidianità, è altrettanto vero che le ricerche in tale direzione sempre più spesso attingono risorse umane ed esperienziali in ambienti liminali, ospedali psichiatrici e carceri in prima linea, luoghi in cui la necessità di un ribaltamento della propria condizione di vita si fa più esplicita e necessaria.
Pepe, lo spettacolo andato in scena al Teatro Tordinona, prende il via da un’esperienza simile, per poi rielaborarla e trasformarla in qualcos’altro. Laura Riccioli – autrice, regista e interprete di quest’assolo – per anni ha condotto laboratori di pittura e teatro con detenuti. Quasi riscrivendo un diario d’immagini di quel periodo, decide di rappresentare le riflessioni di una carcerata, Espedita Pepe, che durante un’insolita lezione d’arte condividerà nel racconto la propria condizione di emarginata, trovando in questa esperienza e soprattutto nel desiderio di far teatro un modo per recuperare la propria libertà, per conquistare appieno una rinnovata esistenza riscattando se stessa nella possibilità d’esser qualcun altro.
Espedita Pepe ha la lingua sciolta, il pepe che porta come cognome riecheggia musicale tra sonorità partenopee e ballate neomelodiche; jeans macchiato da vernice fresca, a farle compagnia solo un paio di sedie rovinate, qualche barattolo metallico e una tela dipinta direttamente in scena. Riccioli delinea con precisione un personaggio che lascia intravedere la propria personalità, la sua presenza scenica brucia diretta alla bocca dello stomaco. Poco sappiamo delle ragioni che hanno condotto Pepe nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario, potremmo intuirle, ma non è questo il punto. Seduta ma sempre in tensione, pronta a scattare, parla e racconta per il gusto della provocazione e della chiacchiera. Eppure non mancano in lei momenti di tenerezza o di nostalgia, nomignoli affettuosi dispensati con generosità, la tristezza per la compagna di cella da lì a breve scarcerata, e soprattutto la sua solitudine. Pepe, arrampicata su una sedia, guarda da un’immaginaria finestra le sue compagne giocare una partita «cui non potevano rinunciare». Intessere relazioni, provare emozioni, sorridere: queste sono le armi con le quali sopravvivere alla reclusione. Stanca di dipingere, della sua condizione isolata, vorrebbe ritornare a fare teatro, confessa.
Riccioli è l’insegnante, ma è soprattutto Pepe, e tocca a noi spettatori prendere in consegna il suo originario ruolo di ascoltatrice. Il meccanismo scenico ci porta a immaginare il dialogo tra le due, risalendo alle domande tramite il profluvio di risposte. Per quanto in certi momenti l’escamotage risulti un po’ più debole risentendo dell’unica voce, il racconto della protagonista lascia intravedere la necessità di fare i conti con cosa voglia dire la prigionia, (fisica, mentale, sociale), ovvero quell’impossibilità ad agire liberamente, anche al di la della realtà carceraria. Si arriva a dubitare di poter pianificare anche il semplice quotidiano, di ritornare a «essere ancora in grado di fare una passeggiata sul lungomare».
Il senso d’inadeguatezza nei confronti della collettività appartiene tanto alla detenuta quanto all’insegnante. Entrambe, capiamo, sentono vincoli equivalenti, non c’è poi molta differenza tra chi parla e chi ascolta. L’accento sembra spostarsi allora non tanto su una generica condizione di prigionia ma sulla possibilità dell’arte di farsi mezzo per il proprio riscatto. Le domande e i dubbi ridondano sulla scena, eppure, più che scalfire la posizione di chi guarda, la risoluzione dei nodi drammaturgici sembra fin troppo semplificata. Pepe alla fine deciderà di accettare i consigli della sua insegnante e di ritrarsi, ma il racconto sembra non andare oltre se stesso: attraverso il proprio ritratto la catarsi si direbbe compiuta, ma confinata in quella tela girata, non si spinge verso la platea, e le sue risposte rimangono come tra le righe.
Viviana Raciti
Visto al Teatro Tordinona in maggio 2013
Giarda il video dello spettacolo su e-performance
PEPE
Scritto e interpretato da Laura Riccioli
supervisione alla messa in scena Alberto Bellandi e Sarah Sammartino
fonica Massimo Cicchinelli