Già nel precedente Virus la compagnia CapoTrave diretta da Luca Ricci rifletteva sulla possibilità di raccontare un’intera vicenda affidandosi interamente alla componente visiva e al ritmo che la organizza, mettendo lo spettatore in rapporto frontale con il sudicio sotterraneo di una ipotetica metropoli: tra cunicoli infestati di topi e celle di contenimento due uomini si contendevano la cattività, mentre in superficie un’epidemia decimava il mondo. E di quel mondo Ricci lasciava intendere solo la presenza incombente, attraverso il salmodiare graffiante dei bollettini medici, il cigolio dei tombini e il gocciolare delle fogne: ma il gioco al massacro, il vero dramma si spendeva tutto nella pasta densa del buio, in quel sotterraneo squarciato da fasci di torce elettriche, senza spendere una parola.
Anche Nel Bosco, andato in scena al Teatro dell’Orologio di Roma, agiscono due corpi, un ragazzo e una ragazza al limite della pubertà, in fuga da colpi di fucile e latrati di cani. La scena iperrealista di Katia Titolo ricostruisce una piccola radura delimitata da quattro alberi, lascia il commento sonoro allo scricchiolio delle foglie morte in terra, delle quali si sente addirittura il profumo. La sorprendente umidità della sala – che in altre occasioni ci aveva strappato imprecazioni – sembra qui arrivare a chiudere il cerchio di un’ambientazione a suo modo perfetta, incorniciata con rigore e inventiva ormai consueti dalle luci sepolcrali di Gianni Staropoli.
Fugge uno, fugge l’altra e quel bosco gelido eppure accogliente diventa per entrambi un’oasi di resistenza ultima; tra fronde e corteccia si consuma un incontro morbido, riposato, coraggiosamente condotto dalla regia su continui giochi di prossimità, sugli sguardi della distanza, sui brividi che tramutano il freddo atmosferico in un’incertezza ancora bambina. Il rito iniziatico che porta all’età adulta rivive nei corpi acerbi, nella scoperta del sesso, in quei sorrisi sempre a metà, mettendo in luce il riuscito lavoro sui due interpreti, giovanissimi e pure agili abitanti di questo ambiente così liminare, che – come avviene in certo teatro di oggi – cerca con il pubblico un contatto basato sulla lontananza.
Tra lo spettatore e la meticolosa scena «immersiva» si interpone infatti un velatino su cui gli ottimi effetti video di Andrea Giansanti fanno comparire e scomparire brani del poema Il galateo in bosco di Andrea Zanzotto, che la voce di Roberto Herlitzka declama con inflessione funebre e fatale. È qui che qualcosa del dispositivo si inceppa. Le parole alate e a volte troppo criptiche di Zanzotto, il cui poema nasconde gli echi di guerra in guizzi lirici fortemente sincopati, non riescono a imporsi sulla partitura fisica che invece respira di una vita ipnotica e forse basterebbe a se stessa.
Estremamente reale non è tanto la scenografia – un bosco in scena è dichiaratamente finto – ma la relazione tra i corpi (ché di personaggi non si può parlare). La frizione si crea tra la carnalità dell’azione e i giochi linguistico-fonetici dei versi la cui esplosione visiva e soprattutto declamazione finisce per rompere l’incanto.
Sergio Lo Gatto
visto al Teatro dell’Orologio sala Grande il 3 febbraio 2013
Guarda lo spettacolo completo su e-performance.tv
NEL BOSCO
di Lucia Franchi e Luca Ricci
regia di Luca Ricci
ideazione e drammaturgia Lucia Franchi e Luca Ricci
collaborazione alla scrittura scenica e azione Roberto Gudese e Alessia Pellegrino
scena Katia Titolo
luci Gianni Staropoli
ambiente sonoro Fabrizio Spera
voce fuori campo Roberto Herlitzka
effetti video Andrea Giansanti
effetti sonori Antonello Lanteri, Nicola Mancini
organizzazione Laura Caruso
produzione CapoTrave con il sostegno di Regione Toscana e Kilowatt Festival
residenze presso Centrale Preneste (Roma), Kollatino Underground (Roma), Angelo Mai (Roma), Teatro Comunale di Castiglion Fiorentino (Ar) ringraziamo per la collaborazione a Rafaele Morellato Lampis, Pietro Naglieri, Emilio Vacca, Teatro Argot Studio