HomeVISIONIRecensioniÈ stato così. Le parole trattenute della Ginzburg

È stato così. Le parole trattenute della Ginzburg

Sabrina Impacciatore - foto di Marco Balostro

Una smunta carta da parati, una sedia, qualche rosa a terra, un paio di lampadine; si accomoda una donna sfatta e, in una maschera di capelli sconvolti, pesante trucco colato e rossetto debordato, rivela di aver appena commesso l’omicidio di suo marito, estremo atto di liberazione nei confronti di una vita di tradimenti. In questo stralcio di realismo (rotto dalla presenza di un asta con microfono posta proprio davanti alla sedia e di una cassa amplificata) si innesta il flusso di coscienza e parole della protagonista di È stato così, tratto dall’omonimo romanzo di Natalia Ginzburg, appena andato in scena al Piccolo Eliseo.

Valerio Binasco in veste di regista ha già prediletto il linguaggio della scrittrice palermitana, come quando in relazione alla sua messinscena de L’intervista ne aveva apprezzato la musicalità quotidiana delle parole. Anche in questo caso non smentisce tale interesse, facendo delle parole del romanzo il veicolo espressivo fondante di tutta la messinscena, volutamente priva di grandi azioni. Aggrappata alla sua sedia tra l’attonito e lo sconvolto Sabrina Impacciatore ripercorre la propria vita fin dal primo incontro col futuro marito, attraversando i rari momenti di felicità, ma soprattutto ponendo l’accento sulla sua presenza-assenza, ingombrante in ogni caso. Perennemente in partenza verso viaggi che in una mal celata bugia nascondono gli incontri con l’amante, quest’uomo, «piccolo di statura e di affetti», costringe a una vita di attese e di speranze inesaudite la propria moglie – una donna di cui nemmeno conosciamo il nome, dice il regista – incapace di amarla o di lasciarla andare. Se quindi è una storia che si costruisce per ricordi, ciò che porta avanti l’azione  sulla scena è il flusso di sentimenti dispiegati.

Che il diretto destinatario di questo racconto-confessione sia il pubblico stesso è esplicitamente evidenziato dalla presenza straniante del microfono, che garantisce del resto l’ascolto dei toni blandi, sussurrati, la cui lucidità incosciente non riesce a manifestarsi in maniera più chiara. Da quella sedia iniziale la protagonista non si alzerà mai più, in una temporale circolarità del paradosso per cui la fine corrisponde al suo inizio, in cui ci troveremo necessariamente sempre dalla sua parte. Un racconto fatto di emozioni trattenute a fatica, che riescono a fuoriuscire tra uno spiraglio e l’altro, tra una battuta ironicamente ingenua e un momento di rabbia improvvisa, tra il dolore della perdita dell’unica figlia e la felicità per la breve gioia coniugale ritrovata. Ma non si tratta di una ricerca sulle motivazioni – che nell’irrazionalità di questo sentimento univoco rimangono giustamente oscure – quanto un metterci a parte della vicenda cercando una comprensione e un’empatia senza filtri. Si chiede – e la si ottiene per la maggioranza del pubblico, commosso – un’adesione acritica.

Ciò che inizialmente sembra una limitazione fisica, vorrebbe  essere qui metodica ricerca di un’esposizione “verosimile”. Certo l’idea di rimanere in una notevole fissità corporea, gestuale, perfino emotiva, il rinunciare ai toni da tragedia coerentemente al linguaggio informale del romanzo, raggiunge una effettiva colloquialità, permettendo una maggiore concentrazione sulla vicenda drammaturgica ed emotiva. Tuttavia ciò comporta una messa a nudo non solo del personaggio ma dell’attrice stessa, che, nonostante in diversi momenti riveli una certa ingenuità, si dimostri in grado di superare la prova del “fare poco”, passando da una analisi sul come fare a una ricerca sul “come togliere”.

In bilico tra l’autenticità e la trovata ingegnosa, Binasco confeziona dunque uno spettacolo rischioso, dove tutto è già successo, già dato, e tuttavia, cavalcando la sottile linea di demarcazione tra l’essere sopraffati da un’emotività e al contempo sopraffarla a beneficio del racconto, riesce a ritagliare una porzione di storia in grado di commuovere chi la ascolti.

Viviana Raciti

È STATO COSÌ
di Natalia Ginzburg
con Sabrina Impacciatore
luci e scene Laura Benzi
costume Sandra Cardini
musiche originali Arturo Annecchino
regia Valerio Binasco
produzione Pierfrancesco Pisani / Parmaconcerti / Teatro della Tosse / Infinito

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Viviana Raciti
Viviana Raciti
Viviana Raciti è studiosa e critica di arti performative. Dopo la laurea magistrale in Sapienza, consegue il Ph.D presso l'Università di Roma Tor Vergata sull'archivio di Franco Scaldati, ora da lei ordinato presso la Fondazione G. Cinismo di Venezia. Fa parte del comitato scientifico nuovoteatromadeinitaly.com ed è tra i curatori del Laterale Film Festival. Ha pubblicato saggi per Alma DL, Mimesi, Solfanelli, Titivillus, è cocuratrice per Masilio assieme a V. Valentini delle opere per il teatro di Scaldati. Dal 2012 è membro della rivista Teatro e Critica, scrivendo di danza e teatro, curando inoltre laboratori di visione in collaborazione con Festival e università. Dal 2021 è docente di Discipline Audiovisive presso la scuola secondaria di II grado.

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