Ne sono convinto, quando si parla di sale teatrali mezze vuote gran parte della colpa è imputabile agli artisti. Le cosiddette “storie vere” offrono al teatro l’opportunità di servirsi di un linguaggio di segno opposto, che ne fortifica la materia. Eccolo infatti quel moloch chiamato Teatro Civile che ben siamo abituati a fruire nelle pratiche della narrazione, una modalità espressiva capace di divenire quasi il suo contrario, “incivile”, appunto quando all’urgenza civile non si accompagna quella estetica o quando l’ingenuità pretende di farsi portatrice di un dolore che aspirerebbe all’universalità e non alla finzione. Dopo lo spettacolo visto all’Ambra Garbatella verrebbe da darla vinta ad Antonio Rezza, da sempre avverso a tutto ciò che è civile e narrativo. Ma è chiaro che il problema è ben più complesso della cinica boutade. Perché nel caso de La Città di Plastica, allestito fino al 23 dicembre, con il pronto patrocinio di ONG umanitarie (alle quali evidentemente manca una cultura della visione teatrale, dato che spesso sostengono lavori non al livello del proprio marchio), la finzione è svelata, ingombrante e resa con goffaggine. Certo che il teatro deve essere finzione, è naturale, ma questo è un tipico caso nel quale l’obiettivo è la realtà dei sentimenti. Claudia Campagnola, unica attrice in scena, tenta la via di un’interpretazione “immersiva” che mai però riesce a restituire quella preziosa verità verso cui dovrebbe tendere. Perché in definitiva il risultato è la scomparsa della sincerità, nodo centrale di qualsiasi creazione artistica che miri alla narrazione dell’umano.
In una scena caotica, fatta da barili e secchi di metallo accatastati da una parte e dall’altra pali di legno ui quali veleggiano prima stoffe colorate semi-trasparenti e poi teli di plastica, si muovono le tre storie di altrettante donne: Neda Salehi Agha Saltan, la studentessa uccisa a Teheran durante le manifestazioni del 2009; Hanifa, sedicenne afgana che come tante coetanee si è data fuoco per sfuggire al matrimonio combinato dalla famiglia; Rose, vittima di concimi, fertilizzanti e pesticidi tossici che le procurarono il cancro lavorando per ore sotto i teloni di plastica.
Storie strappalacrime, insomma, perché è già la realtà che le ha generate a creare inevitabilmente quella commozione alla base di una comunicazione empatica col pubblico. Ecco allora che l’interpretazione di Claudia Campagnola altro non fa che aggiungere pathos e svilire il messaggio; la regia di Norma Martelli certamente non la aiuta: le tre storie scritte da Silvia Resta e Francesco Zarzana non hanno legami drammaturgici se non la condizione femminile in paesi in guerra o in via di sviluppo. Eccoci tornare alle considerazioni iniziali: per quale motivo uno spettatore dovrebbe attraversare la città infreddolita e recarsi a teatro quando a livelli diversi (dal talk show pomeridiano fino al documentario notturno) la Tv assolve già questo compito legato a un’informazione empatica? Il teatro può avere quell’approfondimento che altri mezzi non possono o non vogliono avere, il teatro può e deve essere sincero, a teatro le storie però vanno raccontate fino in fondo, vanno fatti i nomi e cercati i colpevoli. Lo spettatore cerca un guizzo in più, una scossa nella mente e nel corpo, altrimenti non parleremmo di arte, ma di semplice intrattenimento, in alcuni casi anche poco utile alla causa.
Andrea Pocosgnich
in scena dal 18 al 23 dicembre 2012
Teatro Ambra Garbatella [cartellone 2012/2013]
Roma
LA CITTÀ DI PLASTICA
nel giardino dei sogni
di Francesco Zarzana e Silvia Resta
con Claudia Campagnola
scenografie Camilla Grappelli e Francesco Pellicano
suoni David Barattoni
regia Norma Martelli
ma che stai a dì..è colpa degli artisti?.. in questo caso..forse..ma che generalizzi? mmmche nervus ..
Quando gli spettacoli evidentemente peccano di ingenuità oppure non funzionano per altri motivi mi pare troppo facile dare la colpa ancora alla politica o alla società, in una città come Roma con i suoi 80 teatri la sala la riempi se hai contenuti e forme interessanti, altrimenti quel poco di mercato che è rimasto ti uccide
A.P.
Ma perché nessuno si scandalizza per la finzione delle storie raccontate? Che siano verosimili non significa che siano reali! È allora perché nessuno chiede all’attrice se era a conoscenza della messinscena di Neda????? Era tutto finto, basta cercare su you tube!