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L’effetto speciale di Philippe Quesne

foto vivariumstudio.net

Mentre si prepara il giro di boa che dal Teatro India porterà Short Theatre 7 alla Pelanda, è ancora vivo il segno lasciato dalla prima giornata, grazie al contributo di due spettacoli, entrambi parte del progetto TransArte, curato con l’Institut Français: Adieu di Jonathan Capdevielle e L’effet de Serge di Philippe Quesne. Quest’ultimo dava vita nel 2003 al Vivarium Studio, un «laboratorio per l’innovazione teatrale» aperto ad artisti di varia sfera. Sei performance, diversi progetti site-specific e collaborazioni a scenografie d’opera, teatro, concerti e arte contemporanea compongono la giovane carriera dell’atelier. Sul palco della sala B dell’India è ricreato l’interno di un appartamento: un uscio sulla sinistra e sulla parete di fondo una portafinestra che dà su un cortile d’accesso rigoglioso di siepi. Da qui, avvolto in una nuvola di fumo, fa capolino Gaëtan Vourc’h stipato dentro un costume da cosmonauta, che – spiega in francese dal suo radiomicrofono mentre una voce italiana lo traduce in simultanea – era quello che indossava nello spettacolo precedente. E così una performance si lega all’altra senza che vi siano necessarie associazioni di senso, cosa che dà il la a gran parte dello spirito ironico e nonsense di questo ottimo lavoro. L’enorme casco bianco emana una luce che, entrando dalla portafinestra come dentro un antico mausoleo appena disotterrato, svelerà tutti i particolari della scena, elencandoli con cura: pareti bianche, moquette viola e tavolo da ping pong adibito a scrivania/tavolo da pranzo/tavolo da lavoro. Gli oggetti che riempiono il lato destro della scena, ordinati in pile sul tavolo o ammucchiati negli angoli, sono i più disparati: misteriosi circuiti elettrici, macchinine radiocomandate, orpelli da travestimento, pezzi di costume e attrezzi da riparazione. Questa è la casa di Serge, che ogni domenica accoglie degli sconosciuti per offrire loro – con tenerezza disarmante – un piccolo ed effimero spettacolo di effetti speciali.

Dal buio del cortile si avvicendano diversi personaggi, chi in bicicletta, chi in automobile, uno appeso a uno zaino, l’altra che in una busta di cartone porta un cordiale. Sono tutti figuranti del luogo, raccolti dal festival con un invito aperto e che hanno preparato con Quesne un’entrata in poche ore di prove, a ridosso del debutto. Lo schema si ripete: comparsa dell’ospite, saluto attraverso il vetro, invito a usare la porta principale, ritiro del soprabito, offerta di qualcosa da bere (vino, acqua o succo di frutta) e di un posto nel salotto per godersi uno spettacolo di pochi secondi, piccoli trucchetti da baraccone che hanno il sapore nostalgico di chissà quale infanzia. Gli spettatori non si trattengono; ringraziano, salutano e se ne vanno, fatta salva l’opportunità di tornare, nel finale, per una festa tutti insieme, dopo un ultimo, goffamente pirotecnico, gran finale.

foto di Patrick Sullivan (PICA Portland Institute of Contemporary Arts)

Il tempo della performance e il ritmo che lo compone sono i due elementi chiave di questo piccolo gioiello di semplicità. Nell’intervallo tra una visita e l’altra Serge è lì che prova le sue piccole magie, ordina pizza a domicilio e la lascia lì a freddare, rapito dal luccicare di occhiali fluorescenti o dal ronzio di un modellino di elicottero che non riesce a conservare la quota. In questi gesti semplici, nella predisposizione a tanti minuscoli fallimenti sopravvive la poetica del clown, che dà tutto se stesso per un atto che muore immediatamente. Nella stessa bolla temporale si trovano e si estinguono diverse umanità, forse accuratamente selezionate: una ragazza, una giovane coppia, una donna sola, un uomo in bicicletta con il seggiolino da bambino vuoto, il ragazzo delle consegne e qualcuno che arriva in ritardo, perdendosi il gran finale. In questo non luogo stranamente accogliente, un nostalgico sogno in cui il trascorrere del tempo è convenzione espressa, annuncio esplicito, i personaggi transitano al ritmo dei sorrisi di Serge così profondamente caldi, scambiando tra loro conversazioni incomprensibili perché soffiate con un filo di voce.

Allora eccolo, l’effetto speciale di Philippe Quesne, il coraggio di giocare con tutto, il profilo lineare e umile di una ricerca che non si prende mai davvero sul serio. E che nella cura di movimenti ed espressioni ritrova lo spazio da lasciare in eredità a una riflessione. In un trucco che non riesce, in un piede che inciampa, in una fronte che sbatte, nelle piccole imperfezioni e nell’interno vuoto e intimo che le vede accadere c’è tutta la fragilità di uno spirito completamente umano.

Sergio Lo Gatto

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L’EFFET DE SERGE Ideazione, direzione e scene Philippe Quesne con Gaëtan Vourc’h, Isabelle Angotti, Rodolphe Auté, Cyril Gomez-Mathieu, e ospiti del luogo musica di André Prévin, Gillian Hills, Howe Gelb, Sophia Loren, Wagner, John Cage,The Patriotic Sunday, Sparklehorse, Colleen, Antoine Duhamel, Willy Deville, Arnold Goland, Abbc, Vic Chesnutt, Led Zeppelin, José Feliciano produzione Vivarium Studio con il supporto di Forum scène conventionnée de Blanc-Mesnil, festival actOral montévidéo – Marsiglia Debutto novembre 2007 presso la Ménagerie de Verre – Parigi Vivarium Studio è finanziato dal DRAC Île-de-France (Ministero della Cultura Francese) e Conseil Régional Île-de-France. La compagnia è sostenuta da Institut français – Ministères des Affaires étrangères et européennes per la tournée internazionale

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Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto
Sergio Lo Gatto è giornalista, critico teatrale e ricercatore. È stato consulente alla direzione artistica per Emilia Romagna Teatro ERT Teatro Nazionale dal 2019 al 2022. Attualmente è ricercatore presso l'Università degli Studi Link di Roma. Insegna anche all'Alma Mater Studiorum Università di Bologna, alla Sapienza Università di Roma e al Master di Critica giornalistica dell'Accademia Nazionale d'Arte Drammatica "Silvio d'Amico" di Roma. Collabora alle attività culturali del Teatro di Roma Teatro Nazionale. Si occupa di arti performative su Teatro e Critica e collabora con La Falena. Ha fatto parte della redazione del mensile Quaderni del Teatro di Roma, ha scritto per Il Fatto Quotidiano e Pubblico Giornale, ha collaborato con Hystrio (IT), Critical Stages (Internazionale), Tanz (DE), collabora con il settimanale Left, con Plays International & Europe (UK) e Exeunt Magazine (UK). Ha collaborato nelle attività culturali e di formazione del Teatro di Roma, partecipato a diversi progetti europei di networking e mobilità sulla critica delle arti performative, è co-fondatore del progetto transnazionale di scrittura collettiva WritingShop. Ha partecipato al progetto triennale Conflict Zones promosso dall'Union des Théâtres de l'Europe, dove cura la rivista online Conflict Zones Reviews. Insieme a Debora Pietrobono, è curatore della collana LINEA per Luca Sossella Editore e ERT. Tra le pubblicazioni, ha firmato Abitare la battaglia. Critica teatrale e comunità virtuali (Bulzoni Editore, 2022); con Matteo Antonaci ha curato il volume Iperscene 3 (Editoria&Spettacolo, 2018), con Graziano Graziani La scena contemporanea a Roma (Provincia di Roma, 2013). [photo credit: Jennifer Ressel]

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