Nella nostra Italietta siamo abituati un po’ a tutto e quando si tratta di spartirsi fama e potere riusciamo a farne di tutti i colori: il nostro amato teatro non è da meno. Siamo inerti ormai alla vista di una gestione culturale fatta da piccoli, medi e grandi potentati. Molti dei teatri Stabili, così come i grandi festival o istituzioni teatrali − fortunatamente non tutti − sono gestiti alla stregua di fortini medievali con tanto di scranno e corona, con un fossato bello largo per farci cadere gli ospiti che meriterebbero di entrare (ma che loro malgrado non conoscono nessuno nel palazzo) e un ponte tutto intarsiato in bella foggia per accogliere le carrozze dorate di famosi viandanti: parenti, amici o semplici conoscenti in credito di ospitalità. E ormai non ci stupiamo più di nulla, neanche quando seduto su quel trono troviamo un artista, ovvero una personalità che, almeno idealmente, siamo portati a immaginare dalla parte del popolo, pronto a sfidare il potere e non a rappresentarlo come in una farsa alla rovescia. Ed è proprio quando il principe di turno inizia a giustificare i propri personalissimi traffici con la scusa del bene collettivo che ogni barlume di democrazia va a farsi friggere.
In Abruzzo, nel piccolo e antico borgo di Gioia Vecchio (Gioia dei Marsi, AQ) da dodici anni (la presente edizione chiuderà il 27 settembre 2012) si svolge un festival teatrale. Uno dei tanti, se non fosse che dietro la sua ideazione e direzione c’è una tra le intellettuali più importanti d’Italia. Il festival, l’associazione che lo produce e la Scuola Nazionale di Drammaturgia sono stati fondati da Dacia Maraini.
Opera di filantropia come tutte quelle culturali in Italia, nata con lo scopo di riportare la vita nel paese abbandonato dopo il terremoto del 1915. Per questo nacque l’associazione; il teatro si innesta spesso nei territori come concime rivitalizzante, un festival ne è il naturale strumento, dunque idea ineccepibile quella della Maraini. Ora, la collaborazione di enti e istituzioni pubbliche dovrebbe portare a una gestione trasparente, a una manifestazione che faccia in modo di creare una rete di esperienze, sguardi e relazioni. Perché sono quelle relazioni a rappresentare il nutrimento per un territorio e i suoi abitanti. Eppure quando si parla di cultura − che in questi casi inevitabilmente si mescola con l’intrattenimento − sembra possibile marciare spediti verso il proprio obiettivo in deroga a qualsiasi morale. Ne abbiamo pieno lo stivale di direttori artistici che riempiono rassegne e teatri con opere di cui sono in qualche modo artefici. Ma quello della Maraini è probabilmente un record: ispirata dall’atmosfera olimpica di quest’anno, su sedici serate in ben otto la direttrice artistica fa comparire il suo nome. due le repliche del suo Teresa la ladra con Mariangela D’Abbraccio, un altro spettacolo, I digiuni di Catarina da Siena, porta la sua firma per testo e regia, e c’è poi la presentazione di un audiolibro Storie di cani per una bambina, tratto da una sua opera, otre ad altri lavori nei quali la scrittrice, in un modo o nell’altro, fa capolino tra i credits.
È chiaro che a noi interessa un dibattito sull’argomento e quello del Teatro di Gioia è solo uno dei casi più emblematici − per non dire sfacciati. Proviamo a metterci nei panni di questi amministratori/artisti: ci troveremmo col nostro gruzzolo, piccolo o grande che sia, a dover mettere in piedi una prestigiosa rassegna che faccia del nostro amato e antico borgo un’attrazione turistica e al contempo risvegli i sopiti animi dei pochi cittadini rimasti ad abitare i bucolici paesaggi. Siamo in buona fede, alla peggiore sappiamo di dover pagare lo scotto di qualche amicizia datata che prontamente inseriamo nel programma cercando comunque di tenere la qualità della proposta su un certo livello. A questo punto ci ritroviamo con il fatidico dilemma: ci ricordiamo di essere anche noi degli artisti e iniziamo a chiederci se sia possibile inserire almeno una nostra opera in cartellone. A nostro parere la risposta dovrebbe essere semplice e negativa, se non altro poiché stiamo cercando di stilare un progetto per gli altri, per il pubblico e non per noi stessi. Il metro utilizzato dovrebbe essere perciò meritocratico. Ecco perché la risposta al quesito è immediata: possiamo noi giudicare in base al merito su noi stessi? Sarebbe un primo passo verso il delirio di onnipotenza. Di certo l’essere umano è abilissimo nel gabbare se stesso con piccoli escamotage. Di fronte alle ben note ristrettezze economiche potremmo essere costretti a rinunciare a qualche spettacolo o proporre alle compagnie una riduzione del cachet. Oppure possiamo sempre infilare nel programma qualcosa dal nostro stesso repertorio, ché noi certamente possiamo andare in scena a condizioni economiche ridotte, forse addirittura gratuitamente. Ed ecco che, all’improvviso, con un dribbling degno di Maradona abbiamo ubriacato la nostra coscienza e crediamo di essere dei benefattori.
Presentando l’edizione 2012, ricca di novità quali la trasformazione in festival itinerante e la partecipazione di altri comuni limitrofi oltre a quello di Gioia dei Marsi, Dacia Maraini ha parlato della necessità di un ritorno al teatro di “repertorio”: «La nostra rassegna itinerante fa di necessità virtù e, col calendario di spettacoli che oggi presentiamo, lanciamo un messaggio: ovvero, tornare al teatro di repertorio. Riscoprire e valorizzare opere da troppo tempo dimenticate, invece di sottostare a una logica consumistica e nevrotica che mira solo alla ricerca costante del consumo immediato e del “nuovo a tutti i costi”. Insomma, far girare spettacoli che in passato hanno funzionato e che, altrimenti, finiranno per scomparire. Basta con questo sistema che è schiavo di determinate logiche di mercato: la mia è una scelta precisa, oltre che un invito alle altre compagnie a seguire la strada che tracciamo». (fonte http://www.myword.it) Approccio condivisibile, ma ci sorge anche un dubbio: la Maraini parlava forse del proprio repertorio?
Andrea Pocosgnich
info : http://www.teatrodigioia.it/
Bravo e coraggioso a iniziare un discorso del genere, soprattutto se -esattamente come hai fatto- non si butta tutta la polemica sull’ipocrisia dei potenti anti-potere, ma si cerca di mettere in luce anche le dinamiche più complesse, la psicologia autoillusoria, la perdita di un punto di vista esterno inevitabilmente causata dallo starci sempre e fin troppo dentro, alle cose artistiche e alle dinamiche organizzative che si portano dietro. Un po’ di malizia però ci vuole: e allora non posso fare a meno di dire che proprio le vetero-femministe sono fra i peggiori esemplari di questo circo zoopolitico. Hanno assimilato alla perfezione, illuminate dalla fama, una virtù che si direbbe maschile: eleggono (sé stesse o i preferiti) e infilano, ovunque è possibile…
Carissimi, forse non sapete che la presenza di tante opere della Maraini al Festival di Gioia è dovuto al fatto che Dacia Maraini offre gratuitamente i suoi spettacoli, ovvero non prende un euro dagli stessi e, dato che i soldi non ci sono per finanziare teatro e cultura, i suoi spettacoli, per i quali Dacia Maraini rinuncia al cachet, possono rappresentarsi. Un altro motivo è che le compagnie di giovani che lei invita al Festival danno forfait all’ultimo momento, non hanno un approccio serio verso la professione, se trovano qualcuno disposto a dare più soldi non mantengono la parola data e l’impegno preso mesi prima, è questo un altro motivo per cui Dacia Maraini è costretta a rappresentare all’ultimo momento più volte i suoi spettacoli. Prima di parlare forse è meglio sapere come stanno le cose e non fare discorsi inutili e privi di veritá. Elettra Martin, allieva della scuola di drammaturgia del Teatro di Gioia diretta da Dacia Maraini