Con il termine atmosfera s’intende solitamente indicare due rami di significato: quella naturale che deriva dalle condizioni climatiche in relazione all’ambiente e quella indotta dall’uso che gli uomini fanno degli spazi e delle occasioni. Ci sono luoghi poi che sono talmente belli da riuscire nella più difficile delle sublimazioni e comporre un paesaggio in cui sembra impossibile definire ciò che appartiene all’una o all’altra sfera di significato, ossia se si tratti più dell’esplosione di elementi naturali a mozzare il fiato o più dell’intervento artistico degli uomini che ne sfruttano l’indirizzo perché sia complice dell’attrazione. È questo il caso di Monte Sant’Angelo, provincia di Foggia, dove Legambiente ha dato avvio a Festambiente Sud con la sua prima parte: il Teatro Civile Festival, sospeso sulle pietre del Castello in cima al paese, sospeso come sempre l’arte in tutte le sue forme si presenti.
Promessa di tempesta attorno e il mare che si vede da lontano, nascosti gli eremi e i pertugi pietrosi della vallata, dall’altro lato la Foresta Umbra si raggruma verso le selve interne del Gargano e il fascino coinvolge e turba, il paesaggio e noi: il teatro è giunto qui a dirsi civile in ogni sua forma, questo l’intento e la scommessa di Mariateresa Surianello, convinta che non è l’estetica, non il contenuto smaccatamente politico a dirsi civile ma la sostanza stessa del teatro. È in questo contesto che il festival ha preso corpo e si è irradiato fra le ali del Castello: ha navigato con il Titanic di Roberto Latini che lanciava il suo “rompete le righe” a un cielo stellato, mentre in alto saltavano i frammenti di una sedia distrutta nel silenzio sovrano della sera, ha cercato con Dario Aggioli l’umanità depredata dalle deportazioni naziste con Gli ebrei sono matti, rinnovata proprio dall’artificio di fingersi diversi, ha rintracciato in scena i ricordi perduti con l‘AREM di Elena Vanni nella scatola pudica in cui li avevamo nascosti, ha denunciato il capitalismo laido e rabbioso con i Chicago Boys di Renato Sarti, immerso nel liquame in cui ha avuto origine, ne ha rintracciato una delle tante esplosioni con Cernobyl Tour, ha costruito il lavoro dell’uomo nei Manufatti artigiani di Giulio Costa, ma non ha smesso di aprirsi a luoghi meno esplorati come la danza di Roberto Zappalà, la musica con Radiodervish e Tre allegri ragazzi morti, il documentario RMHC che riporta in luce dieci anni di “attitudine hardcore”, il cortometraggio poetico di Matteo Latino Infactoryinmotion, la pittura intima e familiare di Stefania Guerra con Radix Vitae. Forse non tutti questi lavori avranno lasciato il seme espressivo di un pensiero vivace e un seguito partecipato al pubblico di questo angolo di mondo, ma tutti avranno posto un mattone a fondamento di un’idea di teatro che si fa civile perché parte di civiltà, non nei comportamenti ma nell’essenza.
Ci guardiamo attorno a tarda sera, cumuli di nubi velocissime sulla cima del Castello, passano attraverso di noi e la nostra resistenza al vento che lambisce l’immobilità eterna delle pietre, come natura che si ribella ad altra natura, passano col vento che soffia e non scalfisce, passano attraverso il teatro che si fa resistenza al suo spirare e insieme volatile dichiarazione di appartenenza all’aria: è noi e altro da noi, umana e divina è l’arte e tali gli uomini che, come nubi, all’arte ci passano attraverso.
Simone Nebbia
Accidenti! Quasi un epillio, questo da Monte Sant’Angelo…