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Lupo: a Forlì tra pensiero e performance

Una Forlì deserta e silenziosa, come nella maggior parte dei casi, ci accoglie il pomeriggio del 9 Luglio. Cemento caldo, grigio urbano, la calma che precede l’afflato del desiderio. In questo stesso silenzio interiore e in quest’aura di apparente tranquillità i lupi appunto usano avvicinarsi alla presenza umana, per coglierla di sorpresa. Lupo, alla sua prima edizione, è oggi la festa che inaugura il sodalizio tra tre realtà artistiche residenti a Forlì: Masque Teatro (nota compagnia del panorama contemporaneo italiano e già alla direzione del festival di performing arts e filosofia Crisalide), la più giovane formazione Città di Ebla (curatrice del festival Ipercorpo) e Area Sismica, associazione che svolge il proprio lavoro soprattutto in ambito musicale.

Lupo, l’origine indisciplinata e selvatica del cane, animale solitario ma che dal branco trae la forza per la sopravvivenza. Bestia oscura e affascinante, elegante simbolo di forza, desiderio di rischio, caparbia intenzione.
Ed è in sintonia con tali caratteristiche che di declina la giornata di spettacoli, concerti e atti di pensiero che i tre gruppi sopracitati hanno organizzato in sinergia tra di loro e con gli ospiti accolti a inaugurare questa nuova avventura romagnola. Assistiamo al delinearsi di un branco, un insieme di singolarità che si uniscono attraverso il proprio agire artistico, non per fondersi in un uno, ma per creare un branco, appunto, in cui le identità dei singoli individui artistici e dei loro pensieri possano collaborare, scontrarsi, dialogare tesi alla creazione di un orizzonte comune, che altro non è se non l’affermazione dei valori contemporanei.

“Ci auguro
che queste unioni non cerchino mai il mediocre compromesso dell’accordo
perché saremo sempre capaci di riconoscere le nostre peculiarità di visione
così da scoprirne ed arricchirne una più grande della nostra.”
(atto di pensiero di E -neo-coperativa nata tra Fanny Alexander, gruppo nanou, Menoventi, ErosAnteros-)

Dalle 18.00 a mezzanotte inoltrata, l’Ex Filanda, gestita da Masque Teatro, ci accoglie nel suo spazio intimo seppur ampio, scuro, caldo, ben curato nei particolari dell’accoglienza. Il pubblico che segue silenzioso ed emozionato il susseguirsi di micro eventi performativi, brevi concerti, parole di coraggio a fendere l’aria densa, non è un pubblico di addetti ai lavori, o almeno non solo. Dopo la leggera poesia della performance di gruppo nanou, Anticamera EP, Ivan Fantini, nel suo atto di pensiero “Io so dove sono”, muove passi tra le foglie di un bosco e parla del lusso dell’abbandono, la gioia di camminare nel bosco e raccoglierne i frutti, il senso di appartenenza alla terra e a una resistenza contadina, il dono che fu la povertà in cui visse. Spietato e lucido. “E voi dove siete? Riuscite a rinunciare al guadagno, o anche solo all’aperitivo?”. Ogni parola è una proposta, un uscire allo scoperto di un’esperienza di vita e di arte, mai in questa sede un ammonimento, né l’affermazione di un senso di superiorità. Il ritorno dei giovani alla terra, tema discusso in questi ultimi tempi dalla politica “di palazzo” come possibile risposta alla crisi dei mercati internazionali; tendenza glamour dei locali ove scorre la gioventù cittadina; diventa in questa vita simbolica una scelta di resistenza, spietata e lucida, al sistema che abbiamo costruito e che ci sta annientando.
Disegnato come una partitura musicale, attraverso un susseguirsi di assonanze e dissonanze, si susseguono i momenti di raccoglimento del pubblico attorno ad un’idea, un luogo, un habitat. Lupo è tutto questo, un paesaggio della mente, un pensiero che prende forma, un susseguirsi elegante di piccoli doni d’arte. Dopo la batteria e le chitarre elettriche del Casino di Casa, prima del suono sottile e acre del violoncello che Giacomo Piermatti suona per noi con mani, archetto, come fosse una chitarra, un violino, una percussione, il performer bambino di Silvia Costa proferisce parole filosofiche dall’alto di un banco da magistrato o pulpito, sulla reciprocità del dare e ricevere nell’ambito delle cose spirituali, l’importanza di vivere nel segno dell’immagine. Il bambino incendia una casa di carta al suo fianco, il fuoco che divampa distruggendo le pareti dell’abitazione crea quell’immagine che si fa parola pura (Come un vaso d’oro massiccio adorno di ogni pietra preziosa).

Un pensiero laterale ma che traccia una direzione precisa, chiara, percepibile, e seppure non miri al centro, abitata dai molti ne traccia i contorni con coerenza e freddezza. I Masque Teatro espongono ancora un avvolta un corpo umano che respira (inspira ed espira) con la macchina, un corpo umano candido, una testa rasata, membra che si contorcono al limite tra l’animale e il cyborg adagiato sull’onda di un meccanismo complesso in grado di provocare un movimento sinuoso, di farsi corpo con il corpo e suono con l’ambiente sonoro. Un’immagine “ermafrodita” di macchina/uomo nasce e si spegne in un paesaggio sauro e fascinoso.

La sensazione di partecipare a un incontro intimo, uno scambio tra partecipanti di una stessa comunità, si fa ancora più forte alle parole di Cesare Ronconi (Teatro Valdoca), che nel suo atto di pensiero confessa un momento di crisi nel percorso artistico personale e della compagnia da lui fondata, e parla con la lucidità e la sofferenza della consapevolezza di chi sente di non appartenere più a questo mondo. Come un treno che improvvisamente ha cambiato binari, e lui, viaggiatore delle prime file, ammette di non essersene accorto per tempo.

Dopo la fanta-scienza dei Masque Teatro torna il richiamo alla terra, nella canzone ironica e fiabesca di Ermanna Montanari sui luoghi comuni, quelli che non sono mai orfani, che “non mi cancellano” perché se me ne sentissi escluso non mi piacerebbero, sono un pezzo di terra, un campo da coltivare, dove gli alberi sono i nostri cuori. Parole leggere offerte al piacere dell’uditorio a cui questa volta l’attrice del Teatro delle Albe si avvicina, come quando le mamme raccontavano la fiaba della buona notte.

Un alternarsi di buio e luce, in un’atmosfera caldo/umida, continuano gli interventi di artisti, teorici e musicisti (ancora Piersandra Di Matteo, Enrico Pitozzi, Città di Ebla), che ci accompagnano fino a tarda notte, contribuendo alla creazione di un pensiero atmosferico, un humus in cui cresce il nostro sentirci a casa, in quel nido in cui ci si sente protetti e spronati, cullati e stimolati da quello che Piersandra Di Matteo definisce: “desiderio di rischio”.

Chiara pirri

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