È festa, nonostante tutto. Per gli amanti del teatro che non provano più molto piacere di fronte al menu offerto dai grandi teatri, i mille remake dei classici di Shakespeare o di Čechov o le commedie di Georges Feydeau o Ray Cooney, è sempre una gioia quando la compagnia SkRAT (corto-circuito) presenta le proprie nuove produzioni. Si tratta di un gruppo di non professionisti (quello che noi chiameremmo teatro sperimentale) impegnato a presentare spettacoli contemporanei e con una forte vena immaginifica, molto più vicini alle tendenze del teatro moderno. E nel frattempo il ricco Teatro Nazionale Slovacco, che dovrebbe essere la scena più rappresentativa, offre, quasi senza eccezioni, produzioni commerciali di scarsa qualità.
Tutto ciò risulta ancora più assurdo vista la situazione sfavorevole in cui versa una delle rare isole di pura creazione sperimentale e senza scopo di lucro rimaste in Slovacchia, vale a dire la compagnia SkRAT, da sempre al lavora con pochissimi soldi a disposizione e impegnata in una strenue lotta contro il sistema malato della politica culturale statale per poter conservare il proprio spazio, anche se piccolo. Cacciato dalla Casa dell’arte di Bratislava, dopo aver trovato rifugio temporaneo all’Istituto Polacco, il gruppo ha traslocato in un altro spazio provvisorio. Senza più voglia di compiangersi e lamentarsi, al secondo piano del Centro culturale Danube, a qualche passo dall’immobile da cui erano stati cacciati, loro continuano a creare. Oltre ai titoli che, tra i loro sostenitori, sono ben conosciuti (Il maialino d’India, I resti, Le anime morte), nonostante le condizioni disperate è in arrivo un nuovo spettacolo: Delirio, nella prigione dell’animo sconvolto.
Parlare dei protagonisti di SkRAT come di non-professionisti non è che una mezza verità, poiché sebbene non abbiano studiato all’accademia ufficiale (che accoglie artisti, registi, studiosi: tutti gli approcci all’arte della scena, dalla teoria alla pratica), da una decina di anni creano spettacoli di alto valore artistico e grande professionalità – di cui sono testimonianza i numerosi premi e la partecipazione a festival internazionali. In Delirio i membri della troupe hanno lavorato nuovamente insieme per produrre un’opera collettiva, sebbene sotto la regia formale di Lubo Burgr. Il suo ruolo è stato infatti quello di unire in un puzzle le parti nate durante le prove d’improvvisazione e fissarle in una forma che non è mai d’altra parte una forma fissa, finale. La realtà in cui viviamo, dentro e fuori il teatro, è un delirio che ci accomuna, un insieme di illusioni alle quali non possiamo abbandonarci totalmente, altrimenti saremmo costretti a considerare la vera miseria della nostra vita. È così che ci lasciamo ipnotizzare dalla pubblicità, dai media. Dal governo, dalla religione e soprattutto da noi stessi. Noi, tanto quanto tutti i personaggi di ogni sorta, dal senza tetto allo snob, protagonisti delle micro-storie che si sviluppano sulla scena.
La scenografia è sobria, il disordine in cui si ammucchiano vecchi oggetti, i vestiti bizzarri e demodé, ogni cosa ci racconta la condizione angosciante di un mondo pre o post-apocalittico. Ma le creature riescono a completare le immagini inquietanti grazie a un loro peculiare senso dell’umorismo, all’ironia delle parole che utilizzano e a un grottesco gioco d’attore, caratteristiche che fanno di Delirio un prisma comico attraverso cui osservare la tragedia della realtà.
L’esempio più affascinante di questa combinazione è l’immagine esilarante di un trentenne che abita ancora con i suoi genitori e quando rientra a casa ubriaco, la madre, arrabbiata e preoccupata, lo prende sulle sue ginocchia, come a ricalcare l’iconografia della Pietà. Il figlio, quasi completamente nudo è il simbolo perfetto della nostra epoca (e della religione) perversa. Lo stile della performance degli attori oscilla – ci siamo abituati – tra il teatro civile e la recitazione stilizzata, con rispetto portato all’interpretazione personale e spazio per l’improvvisazione. In questa autenticità risiede la qualità più importante dello spettacolo, poiché è soprattutto grazie a ciò che tutto ciò che si svolge in scena diviene verosimile ai nostri occhi di spettatori. Parallelamente al complesso dispositivo visivo la musica funziona in modo stupefacentemente equilibrato, come importante supporto alla recitazione attoriale.
Questo lavoro si interroga sulla nostra esistenza e la sua assurdità, le nostre paure interiori che provengono dai pensieri che la società ci impone. A ciascuno il compito di ritrovarvisi dentro. Sembra che non ci siano poi molte cose da celebrare nella nostra vita disperata. Nonostante ciò in Slovacchia possiamo, se non altro, vivere nell’illusione che ci regala il teatro di SkRAT secondo cui, malgrado tutta la sporcizia intorno, l’alternativa alla non-cultura generale può sopravvivere nella cultura popolare e… e che la voglia di creare e di fare del buon teatro può vincere su tutti i fronti nella battaglia contro la stupidità. Delirare con SkRAT rende tutto più sopportabile.
Martina Mašlárová
traduzione dal francese di / traduction du français par Chiara Pirri
co-autori e performer: Vít Bednárik, Daniela Gudabová, Milan Chalmovský, Danica Matušová, Dušan Vicen, Vlado Zboroň