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Belarus Free Theatre: l’Italia e l’ennesima occasione perduta

A flower for Pina Pausch - foto ufficio stampa

Trepidante attesa. Con questo binomio di parole l’Italia mediatizzata ha ritenuto di saper intercettare quel sentimento di desiderio che coglie al pensiero di un incontro prossimo, promesso, lì per avvenire. Le due parole assieme si concedono il lusso di specificarsi: l’una concede aggettivo, qualità visiva, all’altra che si presta a gradi e tonalità di partecipazione, secondo appunto proprio quel desiderio: maggiore sarà quest’ultimo, maggiore il trepidare. Ma l’unione delle due parole raramente si occupa della materia stessa che si sta attendendo, così può accadere che uno dei più importanti eventi che l’Italia culturale ha ospitato lungo questa stagione, non abbia avuto più che la partecipazione di un ambiente vivo come quello teatrale, ma un’attenzione tutt’altro che viva da parte dell’opinione pubblica e dei potentati culturali, muti di un’attesa davvero poco trepidante: al Teatro India di Roma, non per la prima volta perché già furono nella programmazione di Le vie dei Festival e in scena all’Auditorium Parco della Musica, ecco in Italia i Belarus Free Theatre, compagnia fondata a Minsk nel 2005 di cui è difficile parlare senza ricordare lo stato di persecuzione in cui sono costretti ad operare, vittime di una delle ultime dittature dell’Europa orientale, quella di Alexander Lukashenko in Bielorussia, anche detta Russia Bianca, ma dove a nessuno viene in mente di accostare questa qualità cromatica al candore. Impossibile. Ma è vero anche, come dice Tom Stoppard che si è esposto fra tanti (come Mick Jagger, Kevin Spacey e altri) per la loro libertà, che si tratta di veri artisti, meritori di attenzione anche oltre la condizione di difficoltà in cui vivono, così ci proveremo, parlando dei tre spettacoli presentati in questa calata italiana.

Generation Jeans – foto ufficio stampa

Di Being Harold Pinter, bell’attraversamento dell’opera del premio Nobel e meglio ancora del suo significato ulteriore nella storia culturale europea, abbiamo già dato conto in occasione della sua presentazione al Festival Prospettiva dello Stabile di Torino, festival tra l’altro in procinto di saltare una stagione, come al gioco dell’oca, sperando non passi da un definitivo “via”. In quell’occasione scoprimmo artisti in grado di rendere la propria situazione particolare ad un livello universale di condivisione, di resa scenica. È questo il caso anche di uno spettacolo molto diverso, un monologo dal titolo Generation Jeans, portato in scena da Nikolai Khalezin che l’ha anche scritto assieme a Natalia Kaliada e che lo agisce assieme alla musica del live musical fusion di DJ Laurel; la musica è importante, si tratta infatti di una sorta di cavalcata che riporta di fronte ai propri occhi d’attore e uomo (nel loro caso, in questo e nello spettacolo prima citato, l’identica cosa) ciò che ha rappresentato la mutazione politica e civile in una società che percepiva il mondo occidentale come approdo della libertà: i jeans ne sono il simbolo, la loro comodità sguaiata, il benessere promesso e mai giunto. Ironico e radioso il testo si articola attraverso immagini in sequenza della vita popolare del tempo cui fa riferimento tracciate di passaggi emozionanti narrando di fatti ora privati (il suo arresto) ora collettivi (il rogo di Jan Palach a Praga), come se appunto fra le due dimensioni non ci fosse differenza. Ad ogni racconto, pertanto, segue la mostra di una bandiera che lo rappresenta, issata e appuntata come la conquista di un territorio desiderato e fatto proprio, un luogo dove finalmente poter essere quel che si è: appunto, la libertà. L’ultima, i suoi jeans issati e sventolati sull’asta che li eleva, fatti poi a strisce tutte uguali da lasciare al pubblico: solo ricostruendo questa libertà un pezzo per ciascuno se ne avrà una intera: dipende da noi.

A flower for Pina Bausch è un debutto nazionale, nel titolo già due cose fondamentali: una dedica e la sua destinazione. Pina Bausch è stata esemplare nel suo intendere il teatro del ‘900, modificandone per sempre il corso. L’omaggio che le rende Vladimir Shcherban (con in scena gli attori-autori Pavel Radak-Haradnitski, Yana Rusakevich, Aleh Sidorchyk, Hanna Slatvinskaya, Dzianis Tarasenka, Maryna Yurevich, Yuliya Shauchuk, Viktoryia Biran) è però unicamente in quel fiore che le porta ad inizio della piéce: in una scena visibile da due pareti lunghe con soltanto le due corte in scena ci sono un tavolino bianco, due sedie di interno casalingo spoglio; c’è un uomo che pareggia il gambo di due fiori rossi (siamo lontani: due rose?), li mette in un vaso sottile di vetro, si siede, attende; poi vede il posto adatto, si alza, li pone dove ha immaginato: è quello il momento in cui il fiore si fa commiato, si fa celebrazione, quello è l’istante in cui si percepisce la perdita. Questo inizio potente, non è però tenuto in vita dal resto dello spettacolo, decisamente poco convincente: quadri in sequenza di piccole biografie sentimentali (quelle degli stessi attori) in quell’interno ogni volta di gente diversa, storie mai divenute tali, interrotta ognuna prima della naturale conclusione e che denuncia le “opportunità mancate” delle loro vite. L’omaggio floreale di pochi secondi era per Pina Bausch, per noi in platea invece – in questo debutto – non hanno portato molto.

Simone Nebbia

Leggi l’articolo su Being Harold Pinter

visti al Teatro India
Roma

Generation jeans
12 aprile 2012
Belarus Free Theatre
scritto da Nikolai Khalezin in collaborazione con Natalia Kolyada
regia, coreografia e interpretazione Nikolai Khalezin
live musical fusion DJ Laurel (Laur Biarzhanin)
assistenti alla regia Svetlana Sugako, Nadezhda Brodskaya
stage manager Siarhei Kvachonak
In “prima” a Roma
spettacolo in lingua russa sottotitolato in italiano
durata 1 ora e 20′
Teatro di Roma, Associazione Cadmo per Le vie dei Festival , Accademia Nazionale d’ Arte Drammatica Silvio D’Amico
con il patrocinio di Roma Capitale – Assessorato alle Politiche Culturali e al Centro Storico
Provincia di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali

A Flower for Pina Bausch
13 e 14 aprile 2012
regia, concetto e adattamento Vladimir Shcherban
con Pavel Radak-Haradnitski, Yana Rusakevich, Aleh Sidorchyk, Hanna Slatvinskaya, Dzianis Tarasenka, Maryna Yurevich, Yuliya Shauchuk, Viktoryia Biran
assistenti regia Svetlana Sugako, Nadia Brodskaya
stage managers Siarhei Kvachonak, Aliaksei Naranovich
produttori Natalia Kaliada, Nicolai Khalezin
Prima nazionale – in esclusiva per l’Italia
spettacolo in lingua russa e bielorussa sottotitolato in italiano
durata 1h e 20′
Teatro di Roma, Associazione Cadmo per Le vie dei Festival , Accademia Nazionale d’ Arte Drammatica Silvio D’Amico
con il patrocinio di Roma Capitale – Assessorato alle Politiche Culturali e al Centro Storico
Provincia di Roma – Assessorato alle Politiche Culturali

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Simone Nebbia
Simone Nebbia
Professore di scuola media e scrittore. Animatore di Teatro e Critica fin dai primi mesi, collabora con Radio Onda Rossa e ha fatto parte parte della redazione de "I Quaderni del Teatro di Roma", periodico mensile diretto da Attilio Scarpellini. Nel 2013 è co-autore del volume "Il declino del teatro di regia" (Editoria & Spettacolo, di Franco Cordelli, a cura di Andrea Cortellessa); ha collaborato con il programma di "Rai Scuola Terza Pagina". Uscito a dicembre 2013 per l'editore Titivillus il volume "Teatro Studio Krypton. Trent'anni di solitudine". Suoi testi sono apparsi su numerosi periodici e raccolte saggistiche. È, quando può, un cantautore. Nel 2021 ha pubblicato il romanzo Rosso Antico (Giulio Perrone Editore)

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