Immaginiamo di entrare nella stanza d’ospedale dove un malato terminale sta concludendo il percorso di vita che ha condotto fin qui, l’ha condotto con un certo vigore oltretutto, vigore che oggi sembra totalmente asservito alla malattia: trasumanato è lo spirito umano dall’uomo, diverso da quel che era stato. In quella stanza la nostra presenza è di troppo, si avverte un imbarazzo più fondo, si è vittima del brivido cosciente che vede la propria vita in occhi altrui, la caducità impenitente, inarrestabile che passa assieme a noi lungo ogni istante. Quel senso di pudore, quella sensazione di intrusione eccessiva è quanto prende ad entrare nella stanza arredata da Fausto Paravidino per Il diario di Mariapia, testo scritto sugli appunti che la madre dell’autore – Mariapia appunto, medico di professione – compose negli anni del decorso per una malattia mortale, convinta dal suo medico curante che raccontare questa nuova esperienza della malattia potesse essere utile a tanti altri. E di certo a lei.
Paravidino è dunque di questo testo uno degli attori (insieme a Iris Fusetti e Monica Samassa), autore e regista, ma insieme è anche causa intima della piéce che dunque non avrebbe vita né spinta senza l’esperienza familiare che lui ne porta; la sua intenzione è pertanto quella di comporre uno spettacolo che rappresenti testualmente la sua vicenda (tutti i personaggi sono interpretati da Paravidino/Fusetti, che interpretano anche loro stessi, compagni nella vita), ma che attraverso questo spazio di rappresentazione si muova a un senso più alto della riflessione, sopravanzando così il rischio di orizzontalità e ricatto morale, ponendosi nel mezzo a far da tramite alla “rappresentazione oscena del nulla” (dalle note di regia).
Lo spazio scenico ha una costruzione di geometria lineare: una sedia si prende in poco tempo lo spazio centrale, la sedia dell’immobilità, dove Monica Samassa installa la sua Mariapia, dietro è lo schermo circolare, di fronte a lei le due sedie speculari oblique che si pongono in suo ascolto. Il Diario del titolo è così una sorta di trasferimento: mentre la madre, nei giorni dell’abbandono alla vita, componeva i suoi scritti contro la depressione, i suoi figli e tutti i personaggi che ruotano vorticosamente attorno a un degente ne tenevano a mente uno che avrebbero redatto in teatro tempo dopo, una sorta di esorcismo scenico, il bisogno di rappresentare per assolvere la morte e tenere in vita la vita. C’è un video sullo sfondo circolare in cui si succedono immagini di altro tempo che rappresentano quella scena vista dal vivo, ma con pochi elementi a dirne la diversità: palesemente modificata è già una realtà di secondo grado, quindi artistica, quindi di redenzione.
Se questi potrebbero essere i presupposti, tuttavia, la struttura del racconto la direi povera e ancora troppo legata al dato personale per farsi universale: il lascito della testimonianza – cui Mariapia fa dapprima resistenza perché la sente inutile ma poi la percorre come inevitabile – così carpito sa perpetuare e restituire salvezza, ma così com’è non riuscirebbe ancora a stimolare oltre una reazione – emotiva o razionale – rispetto a una così densa materia. Direi questo senza l’uso del condizionale, di tale spettacolo. Se solo fosse possibile, di dolori altrui così esposti, dire qualcosa che non sia un abuso, un’intromissione morbosa nelle pieghe di un letto disfatto che non è il proprio.
Simone Nebbia
Visto al Teatro Sala Uno di Roma il 21 febbraio 2012
In scena fino al 4 marzo 2012
IL DIARIO DI MARIAPIA
testo e regia Fausto Paravidino
con Fausto Paravidino, Iris Fusetti, Monica Samassa
produzione Teatro Regionale Alessandrino
Prossime date
Teatro di Messina
Sala Laudamo
9-10-11 marzo 2012
ore 21:00
Via Garibaldi
98122 – Messina (ME)
Archivolto
16-17 marzo 2012
ore 21:00
piazza Modena 3
16149 – Genova (GE)
Teatro Paolo Giacometti
18 marzo 2012
ore 21:00
C.so Piave, 2
Novi Ligure (AL)