La rassegna Puglia in Scena a Roma, che occuperà il palco del Piccolo Eliseo Patroni Griffi fino al 5 febbraio, apre le danze con Macbeth Night. E sembra giusta, questa espressione, per una messinscena che, da programma, promette di comprimere l’intera tragedia, la più cupa e nera del corpus shakespeariano, in un unico luogo: un night club.
La trama è nota: a Macbeth e Banquo, due valorosi generali del re di Scozia Duncan, tre streghe profetizzano, rispettivamente, un destino da re e uno da capostipite di una regale dinastia. La sete di potere accecherà Macbeth che, con l’aiuto della spietata moglie, assassinerà Duncan, divenendo re. Saranno poi le stesse insopportabili colpe commesse a gettarlo nella paranoia e in un nuovo bagno di sangue che costerà la vita alla moglie, lo stesso Banquo e l’intera famiglia del sospetto rivale MacDuff, che diverrà poi suo carnefice, favorendo l’ascesa al trono di Malcolm, figlio di Duncan.
Nella messinscena di Simona Gonella per la compagnia Cerchio di Gesso le tre streghe si fondono in un’unica ambigua figura, una sorta di cubista abbigliata in maniera succinta e appariscente; attraverso il suo incantesimo passa l’intera vicenda, che dei personaggi conserva soltanto Macbeth e signora, Banquo, Duncan, Malcolm e MacDuff. La scena è affollata di pedane, luci a neon e stroboscopiche, lampade di Wood, mobili bar, pouf e sipari di pelle, mentre su tutto campeggia quel Macbeth Night, come l’insegna del locale. Lo spazio rimasto sul palco a disposizione degli attori è esiguo e non bene distribuito. Se in più di una sequenza i movimenti sinuosi della strega che si fa strada in piccoli dedali sembrano un vezzo di regia, i troppo frequenti scontri degli altri personaggi, giocati dividendosi i centimetri in una sorta di movimento continuo, aggiungono a quel dondolio che sa di ebbrezza e stupefacenti un che di troppo goffo per sembrare una scelta estetica.
Il fascino irresistibile della penna del Bardo qui non avrebbe eguali: dalla primissima sequenza (è proprio quella delle streghe e della profezia) il testo copre atmosfere e dinamiche tra i personaggi con una coltre di allucinazione e incubo che non si dissipa più. Nessuna scena mette al sicuro lo spettatore dalla possibilità che l’intera vicenda altro non sia che la declinazione inesorabile di un delirio. Da come Shakespeare tratteggia i caratteri e fa evolvere gli eventi, ogni cosa sembra passare attraverso il filtro di una mente malata, di un’ossessione inesorabile, quasi in una sottile soggettiva attraverso gli occhi di Macbeth stesso.
Ma questo è, appunto, Shakespeare. La valanga delle conseguenze investe tutti i personaggi, nessuno escluso e prende forma in un tratteggio dalla complessità disarmante, che per emergere deve finire nelle mani di attori di sommo livello. E di una messinscena che lasci loro la libertà per creare in scena tutti i dettagli di quell’oscuro presagio. In Macbeth, che procede quasi solo per immagini e incubi, il modus operandi elisabettiano – in cui ogni cosa prendeva vita in scena per evocazione negromantica, per rabdomanzia delle emozioni – dovrebbe raggiungere la sua potenza massima. Tuttavia l’idea pur non malvagia della “compressione spazio-temporale”, che nelle intenzioni della regista puntava a far esplodere le ragioni del testo al punto da estrapolarne le dinamiche assolute, archetipiche e fortemente contemporanee, non riesce a trovare quartiere, in uno spazio scenico decisamente confuso e in una interpretazione d’insieme purtroppo non all’altezza.
La decisione di conservare il linguaggio classico e di shakerarlo in un’ambientazione moderna non rappresenta di per sé sacrilegio alcuno, a patto che si riesca a trapiantare certe scelte in un terreno in grado di farle germogliare. La recitazione sceglie la via monocorde che, anche laddove se ne intuisca il collegamento all’ambientazione psichedelica, anfetaminica e allucinogena della discoteca, finisce per soffocare lo slancio vitale del testo. Così a uscirne indebolita è proprio quella buona intuizione di sovvertire l’ordine canonico degli eventi e di comprimere in poche ore l’evolversi di una dannazione. Se le dinamiche del potere e l’inesorabile schema delitto-castigo, motivazioni di fondo dell’opera, non riescono a imporsi con forza sufficiente è forse a causa di una mancanza di rigore che, per l’ansia di ricoprire di segni il significante, rischia di perdere di vista il significato.
Sergio Lo Gatto
In scena fino al 15 gennaio
Teatro Piccolo Eliseo Patroni Griffi [cartellone] per Puglia in Scena a Roma
MACBETH NIGHT
da William Shakespeare
con Roberto Cardone, Ippolito Chiarello, Angela De Gaetano, Vito De Girolamo, Mariantonietta Mennuni, Ruggiero Valentini
drammaturgia Simona Gonella,Roberto Romei
collaborazione artistica Roberto Romei
scene e costumi Greta Cuneo
luci Michelangelo Campanale
editing audio Emanuele Menga
regia Simona Gonella