A passeggio per un viale a mezza sera, con la vallata di fianco e le montagne quasi invisibili poco lontano, con solo qualche luce fioca che ne dice la fisicità imponente, mi trovo a ragionare con veemente sveltezza di pensiero e di passo con il direttore di questo B.Motion 2011 al quarto giorno, Carlo Mangolini, mentre ci rechiamo al Garage Nardini per vedere il lavoro ultimato di Anagoor dal titolo Fortuny, di cui altrove si darà conto. Allora è un’altra percezione che mi cattura, quando scopro questi strani alberi buffi e simpatici lungo il viale, vicino al parapetto, tosati a forma di fungo; di questa buffa scoperta dico a Carlo, ma m’inchioda all’evidenza la mia percezione di superficie: lui mi invita a guardare meglio, sono gli alberi degli impiccati, dove i martiri della Resistenza hanno strozzato – ognuno a un albero diverso – l’ultimo respiro. Capisco oggi di più, quanto la prima vista sia fallace.
A prima vista. Gli occhi da grandi si fanno fessura ad ogni oggetto che stimoli interesse, quando si guarda qualcosa e si vuole capire si strizzano le palpebre fino a quasi socchiuderle, lasciando alla distanza di raffinarsi in una direzione che sia univoca, esclusiva, dedicata alla materia dello sguardo. Se tutto cominciasse dalla fine… saremmo solo edotti? O più semplicemente eviteremmo di demandare alla sorpresa ogni forma di godimento? L’evento, la forma happening ha fatto piuttosto male al teatro che, in questo modo, ha perduto il suo status di forma d’arte, lasciando che il colpo di teatro sia più importante – a volte – del teatro stesso.
La seconda tappa di un lavoro seguito a distanza, per mesi e con affilata partecipazione, quella che Città di Ebla dedica a uno dei racconti cardine del novecento letterario: The Dead, nei Dubliners di James Joyce. Ne avevo visto il primo embrione nello scorso autunno a Romaeuropa, arrabbiato telefonai al suo ideatore Claudio Angelini che mi palesò un passaggio reso mancante da un errore tecnico, determinante e che a quel punto denunciava un obiettivo davvero interessante: la scena a indagare le istanze della letteratutra del ‘900, la vita e la morte nelle mani delle sue arti per eccellenza, il teatro e la fotografia. Non si percepiva allora lo scarto risolutivo che avrebbe svelato l’intervento della fotografia in presa diretta, dietro il velo che ne schermava la percezione e la riduceva a una mostra in sequenza. Il primo tradimento, dunque, della prima vista. Un legame che nei mesi successivi si andava via via fortificando, fino a questo secondo studio: lo scenario è mutato, il montaggio capovolto, gli elementi rimodulati, la percezione di nuovo destabilizzata. Esco scosso e bisognoso di ragionare. Un’altra prima vista. Ma ecco che al mattino successivo un incontro pubblico con la compagnia, di una densità sontuosa, ci riconduce a una bellezza di percorso e di ideazione, un rischio senza rete che non calcola cadute né le teme, una dedizione all’arte e al suo processo con profonda coscienza culturale. Città di Ebla sta lavorando, sta fallendo, sta indagando dubbi e piangendo certezze, sta esibendo la propria ferita nel tentativo di colmarla senza porre in giudizio la volontà ideativa, sta compiendo cioè quel percorso virtuoso che ancora risulta nelle nudità dello svolgimento, ma cos’è l’arte se non questo? Affondare nel proprio conflitto e indagarlo, cercando vita dal proprio movimento di morte. Lo spettacolo ha nuovamente offuscato il suo risultato peraltro non finale e mi si dirà che dovranno mettere a punto un sistema che sveli meglio gli elementi già in scena, ed è tutto giusto e sarà da scoprirne ancora il valore, ma il dibattito che ne è nato da ieri fino a questa mattina è la cosa più bella vista a B.Motion fino a questo momento: il teatro accade nell’istante dell’artificio, mai in diretta. Non a prima vista, ma una vista sempre nuova. E che non si chiami, per favore, di seconda visione.
Simone Nebbia
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Questo contenuto è parte del progetto Situazione Critica
in collaborazione con Il Tamburo di Kattrin